LA NUDITA' CELATA
"Tuttavia l'arte erotica" afferma Adolf Loos nel suo polemico saggio del 1908 "Ornamento e delitto" in cui sostiene che la prima decorazione concepita dall'uomo, la croce, avesse un'origine erotica. La prima opera d'arte, il primo atto creativo tracciato su una parete con cui l'artista deliberatamente espresse la propria esuberanza fu di natura erotica: la linea orizzontale rappresenta, secondo Loos, la donna che giace e quella verticale l'uomo che la penetra.
La rappresentazione della peluria pubica, alquanto "osé" per il suo tempo, si trova già in Goya e, più recentemente e in modo assai più aggressivo, in Modigliani, van Dongen, Magritte o Delvaux. Questo è un tema che traversa la storia dell'arte, dalla "Pelliccia" di Rubens, ispiratrice della "Venere in pelliccia" di Leopold Sacher-Masoch, fino ad alcune singolarità come la tazza di pelliccia di Meret Oppenheim. Ora questo significa che dai primordi della storia sino ai nostri giorni non vi è nulla di nuovo nell'ambito della sessualità nell'arte, al di là delle tecniche e dei modi di trattare forme e colori? Si fa da sempre riferimento a uno stereotipo tradizionale, cioè la donna come preda e il suo «darsi» come modella? Nel corso dei secoli l'uomo ha modificato il proprio rapporto con la donna, con l'arte e con la sessualità oppure l'essere umano è tuttora gravato - nonostante l'ottimismo di un Auguste Comte - dal giogo dell'ignoranza, dell'ingenuità, dell'istupidimento religioso? Non si può fare a meno di osservare che la bipolarità della sessualità umana, con tutte le sue istanze di egualitarismo, si trovi ancora a uno stadio sperimentale, per quanto un cambiamento positivo, vale a dire l'era dell'accettazione, non sembri più così lontano. «In questo modo la vulva acquista il diritto dell'autoaffermazione artistica», scrive Gérard Zwang nel suo libro «Il sesso della donna», «alla donna devono essere riconosciuti dalla società gli stessi diritti dell'uomo anche per quanto riguarda la sessualità. Condizione essenziale è la laicizzazione dei costumi e del tipo di rapporti, anche se questo è solo l'inizio.» Ma gli artisti stessi, ieri come oggi, mantengono il ruolo maschile tradizionale che non consente alla donna il diritto d'iniziativa e tantomeno quello di manifestare la propria volontà, di prendere decisioni, di agire. La donna, che in tutti i tempi è stata la protagonista delle arti plastiche, ha rappresentato piuttosto solo un oggetto del desiderio, una bambola gonfiabile di cui l'artista poteva disporre a piacimento. Che fosse cameriera in la Tour o duchessa in Goya, odalisca in lngres e Matisse o frutto esotico in Gauguin, paesaggio in Masson o pin-up in Warhol, che popolasse le chiese in van Eyck o le cucine in Greuze, che tenesse un salotto in Boucher o passasse il tempo nelle alcove in Fragonard, che ricevesse Toulouse-Lautrec in un bordello o condividesse la stanza da bagno con Bonnard o Wesselmann, non pare che l'avvento dell'arte moderna le abbia portato particolari vantaggi. Più che altro si è cominciato a distruggere mano a mano quel corpo che aveva rappresentato l'essenza della bellezza. Esso è stato schematizzato, semplificato, allungato, appiattito, gonfiato, è stato persino fatto esplodere. Si è passati alternativamente da un eccesso all'altro, dall'enormità alla magrezza scheletrica, dal mostro alla bestia. Solo l'erotismo ha il potere di sottrarre la rappresentazione della donna da queste «metamorfosi» kafkiane; attraverso l'eros essa è trattenuta entro frontiere sicure che la separano dai mondi animali, vegetali e minerali. «In questo deve essere letta la confessione delle nostre generazioni», scrive René Huygue, «che si trovano smarrite di fronte a un enigma, come già deve essere accaduto agli uomini primitivi, e vi si confrontano continuamente, impaurite e titubanti, poiché hanno buttato a mare tutte le sicurezze che il passato aveva loro fornito.» «L'uomo d'ingegno», afferma Rodin, «è uno stallone da monta che gioca con la natura.» Malraux parla di un «insanabile conflitto» che travagliava Picasso sul concetto di natura: «La natura deve esistere allo scopo di farle violenza!». Il maestro spagnolo così disse a Roland Penrose: «Per dipingere una colomba bisogna averle prima tirato il collo una volta». Occorre dunque prima «tirare il collo» alla donna moderna perché diventi un'opera d'arte? Sicuramente, ma alla condizione che lei possa infine tornare alla propria funzione come donna. Occorre porsi una terribile domanda: cosa spinge l'artista d'ingegno, questa fenice che continuamente brucia per un piacere che non si spegne mai, a risorgere dalle proprie ceneri dopo essersi abbandonato agli atti artistici più impetuosi per liberarsi completamente da limitazioni e convenzioni, cosa lo tiene in vita se non il bisogno sessuale, la forza trainante del proprio erotismo, le fantasie che egli attinge direttamente dalla natura prima di raggiungere l'apice del desiderio?
Altrettanta importanza ha il significato dell'abito che non può essere limitato alla questione del controllo che esercita sulla traboccante follia dell'artista. L'abito ha un duplice ruolo: indossarlo impedisce che il corpo si trasformi in una esposizione ambulante e, nel contempo, esso accende la curiosità. L'atto di svestirsi, a sua volta, determina uno stimolo erotico. Persino i boscimani dell'Africa occidentale, che vivono nudi, sono consapevoli di questo fenomeno nel momento in cui impediscono alle loro donne di vestirsi perché così diverrebbero più attraenti e susciterebbero il desiderio degli uomini dei villaggi vicini. Ciò che gli artisti di tutti i tempi hanno coltivato con dedizione è rimasto incomprensibile ai missionari privi di fantasia ma animati dalle intenzioni più pie. Uno di loro ha ammesso con amarezza: «Nel rivestire i loro corpi si è contribuito al decadimento morale, provocando un'insana curiosità che prima non c'era mai stata». L'abito come seconda pelle ha sempre affascinato gli artisti che, con l'uso sapiente del pennello, sono stati capaci di rendere questo effetto. L'erotismo emerge, vengono liberate fantasie e voglie poiché l'abito diventa tutt'uno con il corpo, carne e stoffa si mischiano, si fondono, gola, spalle, braccia, cosce assumono la stessa struttura della seta, del velluto o della plastica. Le pieghe della stoffa e quelle della pelle sono così simili da poter essere scambiate. Le figure, quelle per esempio dipinte da Klimt o da Manet, sono probabilmente inconsapevoli ma l'artista non è mai innocente quando mette sotto gli occhi dello spettatore questi ritratti che provengono dal fuoco del desiderio e dalla profondità della propria immaginazione. L'uso proditorio dell'abito presenta anche alcuni vantaggi. Esso nasconde l'invecchiamento del corpo, cela la prima pubertà, il seno che si forma, la peluria che si mostra sul pube. Nessuno si scandalizza della nudità dei bambini che ancora ne sono privi. È possibile che l'essere umano si vergogni di questo pelo perché gli ricorda l'animale, per quanto gli animali non abbiano in genere peli pubici, come del resto molte popolazioni orientali. Il tabù del pelo pubico viene infranto in Occidente solo nelle immagini di alcune riviste particolari, mentre in Giappone sentito in modo particolarmente forte: il pelo pubico viene considerato infatti come una mostruosità portata dall'estero. Nei suoi poemi in prosa Baudelaire, che sognava della sua Colombina, ci racconta i travagli dell'anima di «Mademoiselle Bistouri», innamorata di un chirurgo: «Vorrei che lui venisse da me con la sua borsa e con il camice, magari macchiato di sangue!». E con la stessa espressione gioiosa un uomo sensibile dice all'attrice che ama: «Vorrei vederla indossare lo stesso costume che portava quando ha interpretato quel celebre ruolo.» Sono immagini del desiderio come quelle che evocano la biancheria femminile, porta d'accesso a un mondo che deve restare celato, le uniformi, il camice da infermiera, anche la cravatta. Sì, l'innocua cravatta che le donne adorano quando è annodata a un collo maschile, carica dello stesso fascino e delle stesse allusioni che può avere una giarrettiera. Immagini del desiderio sono le pellicce che, secondo Freud, richiamano il pelo pubico, inoltre i gioielli, i tatuaggi, le scarpe, i piedini storpiati delle donne cinesi, le gobbe che portano fortuna, le prostitute con una gamba sola a cui non mancano mai clienti. La lista dei desideri è infinita e li si ritrova tutti percorrendo le opere degli artisti. L'erotismo consiste in questo per gli artisti e i surrealisti lo hanno mostrato abbondantemente raccogliendo molti di questi oggetti intorno al corpo umano per porli reciprocamente in contrasto e così sottolinearne il significato. In questo senso il feticismo del dipinto di Max Beckmann Maschera del martedì grasso verde, violetto e rosa (intitolato anche Colombina) del 1950 si palesa nell'aver radunato cose diverse: il costume circense della donna e i suoi attrezzi, le carte da gioco che sembrano uscire da sotto il vestito, la posa indecente e consapevole, sottolineata ancor più dalle calze nere. L'enigma potrebbe essere: l'amore, gioco del caso? È un gioco senza significati profondi o, al contrario, qualcosa avvolto dal mistero? Per Lindner vale un discorso completamente diverso. Per lui non è affatto necessario rappresentare la donna in sé, egli ne dipinge solo la pelle o, per meglio dire, l'armatura. È maestro di opere inquietanti che, da un lato, paiono stereotipate, dall'altro sono estremamente complesse, costellate da ragazzine viziose, cavallerizze dominatrici, domatrici chiaramente sadiche armate di accessori in pelle, strette in corsetti, provviste di oggetti per feticisti. Dopo aver trascorso l'infanzia a Norirnberga, la città del giocattolo, dove Lindner aveva recepito un feticismo pregno del clima morale ed estetico della Germania prenazista (incarnato in «Angelo azzurro» dalle giarrettiere di Marlene Dietrich), visse poi tutt'altra esperienza a New York, dove le sue fantasie divennero realtà quotidiana. La pittura di Lindner si svolge così tra i desideri più segreti e insoddisfatti, sedimentati in lui nell'infanzia e la realtà vissuta in America ed essa ci fornisce una risposta nel momento in cui vede lo spettacolo della vita, con la sua sete inestinguibile, messo a confronto con il desiderio esistenziale della sublimazione. La Pop Art lo ha riconosciuto come uno dei suoi maestri, sicuramente in quanto anch'egli, come gli artisti pop, ha dovuto accettare questa contraddizione. In seguito la «crisi dell'oggetto» - tops del XX secolo a cui diede avvio Picasso assemblando il manubrio e la sella di una bicicletta per rappresentare una testa taurina - sopravanzò la sua glorificazione. L'oggetto, un corpo semplice divenuto macchina e quindi corpo complesso, conferma il proprio predominio sull'essere umano. Klapheck e Klasen elaborano a questo proposito un lessico che supera quello dell'uso proprio delle cose, conferendo all'oggetto un'immagine mascherata. Freud, è noto, ha messo in luce come tutti gli oggetti siano destinati a essere gravati di un significato erotico, in particolare quelli che possono funzionare. Duchamp, creatore di Macinacaffé, Macinacacao e del dipinto La sposa messa a nudo dai suoi scapol anche pone in rilievo più di ogni altro la sua interpretazione «meccanico-cinica» del fenomeno amore con tutte le conseguenze filosofiche ed estetiche che ciò comporta, ma anche allo scopo di aprire all'immaginazione uno spazio in cui tutti gli oggetti possano essere «trovati» attraverso i meccanismi psichici dell'essere umano, un luogo, cioè, dove tutti gli oggetti possano funzionare in base al carattere che viene loro di volta in volta conferito dai meccanismi del desiderio. Havelock Ellis dava già grande valore all'uso di utensili o oggetti comuni, come una bicicletta o una macchina da cucire, per raggiungere un piacere autoerotico. Non si può dimenticare a questo proposito la frase di Lautréamont che i surrealisti fecero propria: «Bello come l'incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo anatomico». Una frase, questa, che ha messo in moto tutte le macchine dotate di un sistema di funzionamento simbolico. Il corpo della donna, oggetto massimo del desiderio maschile, non viene reso così, di nuovo, attraverso la forza creatrice dell'artista, il trionfante meccanismo che non ha mai smesso di essere? Che assomigli a un idolo, come per Picabia o che attenda passivamente, come in Schiele che si offra in ogni posizione, come in Gerhard Richter o sembri pronunciare un divieto con il gesto della mano, mano più provocatoria che respingente, come in William N. Copley o in Hans Bellmer, tutti riportano in primo piano questa domanda secondo i mezzi e i modi di cui dispone la pittura; non è una forma di autobiografia dell'epoca meccanicistica quella che viene scritta sotto le loro dita? «Fintanto che il desiderio di progresso tecnico domina il mondo», scrive Jacques Vaché sulla sua opera Macchina per scrivere seppia, «non ci si può aspettare che la macchina rinunci al proprio ruolo di vamp, anche quando questo viene smascherato.» In questo universo artistico totalmente dedicato all'eros il maschio ha una funzione di secondo piano, solo, come in Jean Cocteau o in gruppo ove gli venga consentito di giocare con i compagni, come in Tom of Finland. Ma se si tratta di affilare le armi del vero erotismo, è il corpo femminile quello di cui si serve l'artista, anche a rischio di farlo a pezzi, come in Max Ernst di modificarne l'anatomia per renderlo uno strumento puramente erotico. E per far questo l'artista si avvale solo delle parti funzionali ai suoi scopi, come questi monti di Venere o questi seni che non mancano mai, ben formati e realistici come quelli sulla camicia appesa nella Filosofia in camera da letto di Magritte, mentre la donna si è sottratta alla rappresentazione pittorica. Un caso di castrazione? È una domanda che si pongono i critici freudiani. Il dipinto, in ogni caso, è un omaggio al Marchese de Sade, protagonista del moderno, per quanto egli non lo sia stato affatto nel suo tempo e dovette pagare cara la libera immaginazione dei suoi scritti e le fantasie di cui si nutrì la sua arte. Ogni artista, come Narciso, dipinge sempre il proprio ritratto, anche quando rappresenta una donna nell'atto di offrirsi. Nella filigrana del corpo femminile si intravede sempre la figura del suo creatore. Nel suo libro «Il modello», France Borel osserva a questo proposito: «L'opera d'arte si alimenta del desiderio dell'artista, dell'anelito verso l'altro, la modella, la donna nuda che posa per lui e dello struggimento narcisistico per se stesso. L'atto creativo è nel profondo un atto d'amore. La pittura e la scultura sono fatte di zone erogene, di materia tattile. Nel loro essere assumono forma umana. Sono una sorta di feticcio, hanno funzione di sostituto e, insieme, di veicolo delle proiezioni fisiche. Nascono dalla mente e dal corpo del loro creatore e si rendono indipendenti per offrirsi come mediatori del piacere dello spettatore». Paul Klee affronta nei diari questo problema di fondo. Il soggetto, egli scrive, viene plasmato di energia e seme. L'opera d'arte come creazione di una forma materiale è profondamente femminile, l'opera d'arte come sperma, cioè quella definita dalla forma, è profondamente maschile, prosegue Klee. Non vi è artista né essere umano che sia esclusivamente maschile o femminile. Si tratta sempre di una delicata miscela di entrambi i caratteri. È dalla compenetrazione reciproca di questi due principi che scaturisce l'opera d'arte il cui tema principale ed eterno e il corpo nudo. Concentriamo l'attenzione, a seconda delle preferenze, sulle labbra, sui capelli, sugli occhi, sulle gambe o sull'atteggiamento? Nell'arte sono continuamente presenti queste inclinazioni più o meno consapevoli. Gli artisti, come tutti noi, hanno le loro ossessioni, un tema preferito, determinati dettagli che sottolineano in modo particolare. L'elenco delle loro "vergognose" predilezioni è infinito. Si potrebbe ordinarle in categorie, per grandi temi o per casi specifici. Vi sono pittori che di una donna vedono solo il sesso. Gustave Coubet ha dipinto il sesso femminile con grande precisione in un'opera intitolata L'origine del mondo. E altri,altrettanto ossessionati dal medesimo soggetto, tra cui Rodin, Kubin, Dix, Grosz, Schiele, Masson, Picasso, Brauner, Magritte, Wols e Wesselmann, lo hanno metamorfizzato in paesaggio, animale, frutto, fiore, monumento. Anche il sesso maschile, sin dagli antichi Greci, ha i suoi adoratori che vanno da Mapplethorpe, da Warhol a Fetting e Cocteau. Moltissimi sono anche gli estimatori della donna rigogliosa e opulenta. da Rubens e Rembrandt sino a Maillol e Renoir. Vi sono gli amanti del monumentale, come Lindner, Botero e Lachaise, mentre altri sono più attratti dalla magrezza, come Grünewalde Otto Dix, Schad e Schiele, van Dongen, Gruber o Giacometti.
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