Marinetti Filippo

 

Filippo Tommaso Marinetti
(Alessandria d'Egitto, 22 dicembre 1876 - Bellagio, Como, 2 dicembre 1944)

 

Filippo Tommaso Marinetti

Manifesti futuristi

 

Poeta, romanziere, drammaturgo ed editore italiano del Novecento.

Nato ad Alessandria d'Egitto il 22 dicembre 1876, Filippo Tommaso Marinetti (il cui vero nome è Emilio Angelo Carlo) ha così raccontato momento del suo incontro col mondo: "Cominciai in rosa e in nero, pupo fiorente e sano fra le braccia e le mammelle color coke della mia nutrice sudanese. Ciò spiega forse la mia concezione un po' negra dell'amore e la mia franca antipatia per le politiche e le diplomazie al lattemiele". Il padre Enrico è uno stimato avvocato civilista del vogherese, che ha deciso il trasferimento in Africa quasi per spirito di pura avventura; la madre, Amalia Grolli, è milanese, figlia di un professore di lettere.

Due anni prima di Filippo Tommaso, Amalia partorisce Leone. Entrambi i fanciulli dimostrano un evidente amore per le lettere e un temperamento esuberante, del quale resta vittima il primogenito. Afflitto da un'artrite con complicazioni cardiache, Leone non si risparmia nell'attività fisica e nel 1897, a 22 anni, muore in seguito agli effetti dei ripetuti tuffi e delle infinite nuotate che si concede nel lago di Como, anche sotto piogge torrenziali. La famiglia era da qualche anno tornata in Italia, e si era stabilita a Milano. Filippo Tommaso, tre anni prima di quella tragedia, aveva conseguito il baccalaureato a Parigi; quindi si era iscritto, come Leone, alla facoltà di Legge dell'università di Pavia. La morte del fratello ne alimenta un cupo pessimismo, venato da profondi sensi di colpa. In seguito, però, su quel cupo pessimismo prevarrà un ottimismo tutto fondato sull'uomo meccanizzato e quindi invincibile e immortale, vero e proprio alfiere del futurismo.

Terminati dopo un trasferimento all'ateneo di Genova gli studi di Legge (1899), Filippo Tommaso è libero di dedicarsi alla poesia. Ma già l'anno che precede la laurea è denso di soddisfazioni: collabora all'Anthologie Revue de France et d'Italie, rivista milanese stampata in lingua italiana e francese, e soprattutto, grazie al poemetto Le vieux marins, vince il concorso parigino dei Samedis populaires, diretto da Catulle Mendès e Gustave Kahn.
Se Parigi è il suo palcoscenico (le collaborazioni alle riviste della città aumentano sempre di più), Milano è invece l'officina delle sue idee. Il capoluogo lombardo si sta trasformando, lasciandosi alle spalle la sua natura di centro artigianale e agricolo per diventare una metropoli industriale.

 

 

Filippo Tommaso, che nonostante gli anni di Parigi ha ancora negli occhi il deserto e le piramidi di Alessandria d'Egitto, è affascinato dall'evoluzione tecnologica che si afferma ai piedi della Madonnina. L'estetica del Futurismo nasce proprio in questi anni, e con essa quell'ammirazione - come scriverà nel Manifesto del 1909 - per "...le grandi folle agitate al lavoro, dal piacere o dalla sommossa...", che gli viene dai tumulti del maggio del 1898, repressi dai cannoni del generale Bava Beccaris. Ma la riflessione politica è ancora lontana dal compiersi; ciò che invece si compie è il suo primo libro in versi.

E' il 1902 quando si dà alle stampe La conquete des étoiles, poema in versi liberi dedicato a Gustave Kahn. Non è errato, a riguardo, parlare di protofuturismo. Marinetti raffigura un sogno in cui il mare, sollevandosi dagli abissi, va alla conquista delle stelle ingaggiando con esse una lotta di tifoni e di ondate. Dal testo promanano dinamismo e forza, in un vortice di quelle "parole in libertà" che diventeranno il segno distintivo della poetica futurista. La conquete des étoiles è il primo di tre lavori che preludono alla nascita del movimento: ad esso seguono Destruction (1904) e La ville charnelle (1908), nei quali trovano spazio altri simboli: l'automobile, la locomotiva, la città. Marinetti si è quindi definitivamente incamminato verso il suo futuro. E' un cammino lento, partito dalla poesia e diretto adesso alla vita sociale e politica. Il movimento socialista è dinamico, come dimostrano da un lato il successo degli scioperi dei primi del secolo e dall'altro il dialogo continuo tra il governo Giolitti e quella parte dei socialisti guidati da Filippo Turati.

 

Ma all'interno del partito non c'è unità di intenti. I dibattiti, spesso violenti, tra il riformista Turati e il rivoluzionario Labriola sono frequentissimi. Proprio uno di questi, cui Marinetti assiste nel 1904, fa da spunto per una riflessione politica in forma satirica. Nasce così il Re Baldoria, pubblicato in Francia nel 1905 e tradotto in italiano nel '10, nel quale la dialettica tra i due personaggi principali (Besciamella e Famone, alter ego di Turati e Labriola) non porta altro che a un cupo pessimismo, dovuto alla constatazione dell'impossibilità di cambiare le sorti di un mondo condannato all'alternanza di vita e morte. Il Re Baldoria piace soprattutto a Labriola, che ne pubblica un'entusiastica recensione sull'Avanti e che rafforza i contatti sempre più frequenti di Marinetti con la sinistra.

 

 

Tuttavia, il suo patriottismo - che gli deriva dal "difetto" di essere nato in Egitto e dal contatto con la cultura francese - e l'ammirazione per lo scrittore Umberto Notari, campione nella denuncia della corruzione politica, lo allontaneranno dall'area del partito.

Il 1905 è anche l'anno della nascita di Poesia, rivista internazionale fondata con Sem Benelli e Vitaliano Ponti e della quale Marinetti diviene, l'anno dopo, direttore unico. Si pubblicano solo inediti dei grandi nomi della letteratura italiana e francese di quegli anni, tra i quali Kahn, Catulle Mendès, Laforgue, Pascoli, D'Annunzio, Gozzano. Alla guida di Poesia, Marinetti affina quelle doti che in seguito gli permetteranno di far spaziare il movimento futurista anche nel campo delle arti figurative, della musica e dell'architettura. E' un maestro nel farsi pubblicità: a Natale invia come omaggio panettoni confezionati con la carta intestata di Poesia, attirandosi le critiche di parte dell'ambiente letterario, che giudica troppo sfacciati i suoi modi di fare.

 

Ma non è con costoro che Marinetti deve confrontarsi, bensì con i tre grandi nomi della poesia italiana: Carducci, Pascoli, D'Annunzio (gli ultimi due, come abbiamo visto, suoi collaboratori). Le sue simpatie vanno ai due toscani, dei quali traduce alcuni lavori per riviste francesi. Nei confronti di D'Annunzio, invece, muta atteggiamento: dapprima favorevole, poi sempre più ironico e sarcastico, soprattutto quando, in seguito alla morte del Carducci, il poeta pescarese si autoproclama Vate nazionale. Una manifestazione di grandeur che Marinetti non digerisce - forse perché in questo estremamente affine a D'Annunzio - e che gli fan convogliare tutte le simpatie su Pascoli. Tramite la rivista Poesia, Marinetti continua la battaglia in favore del verso libero, che però incontra un'ostilità diffusa.

 

 

Pascoli, cauto, indica come limite l'endecasillabo sciolto; D'Annunzio non si pronuncia. Ad ogni modo, le dispute sul verso libero sono il sintomo di un'inquietudine che anima Marinetti. Consapevole che il mondo sta diventando un immenso spettacolo, egli comprende che il poeta non può limitarsi a comporre versi ma deve trovare un suo ruolo nella società. Il fermento di quegli anni genera, in ambito letterario, una crisi che sfocia in due direzioni: quella dei crepuscolari, chiusi in un pessimismo che li relega ai margini della società; quella, opposta, di D'Annunzio, tutto azione e protagonismo.

Marinetti cerca invece una terza via, e la trova creando un movimento rivolto a quelle masse di uomini che sentono i cambiamenti di una società sempre più industrializzata. A ciò si aggiungono tre episodi personali: la morte prima della madre (1902), poi del padre (1907), infine un incidente automobilistico accadutogli nel 1908. Se i primi due gli rinnovano quella paura della morte che lo aveva assalito in occasione della prematura scomparsa del fratello, il terzo episodio invece fa da trauma liberatorio: Marinetti vive l'incidente come un viaggio all'inferno, dal quale però riesce a far ritorno. Insomma, una prova di maturità superata a pieni voti. Così, nel febbraio dell'anno successivo, Le Figaro pubblica il Manifesto del Futurismo (già in precedenza, però, Marinetti - sfruttando le sue indiscusse capacità pubblicitarie - aveva inviato il programma a intellettuali, giornalisti, politici). Il clima nel quale viene partorito il programma futurista è decisamente stimolante: nello stesso anno esce il primo manifesto del raggismo e i cubisti espongono a Parigi al Salon d'Automne. Anche le scienze sono messe a soqquadro dal saggio di Einstein "Elettrodinamica dei corpi in moto", datato 1905. Da questo rinnovamento generale nasce nei futuristi quell'idea globalizzante che li porterà a occuparsi di ogni forma d'arte. Organo di stampa del movimento è la rivista Poesia, ma solo per pochi mesi: ormai anacronistica rispetto ai connotati futuristi, Marinetti la sopprime. L'ultimo messaggio che trova spazio sulle sue pagine è il clamoroso "Uccidiamo il chiaro di luna", vera e propria dichiarazione di guerra a tutti i sentimentalismi che per anni hanno ammorbato la letteratura e la poesia.

 

Tuttavia, le attenzioni per le donne non vengono meno: il personale di servizio, a casa Marinetti, è tutto femminile, e alle pareti non mancano fotografie che ritraggono belle signore. Un ulteriore segno, questo, di un'ambiguità tipicamente marinettiana, confermata dal dichiarato "disprezzo della donna" che è uno dei punti del programma futurista. Ma c'è un campo nel quale Marinetti si dimostra tutt'altro che ambiguo: quello pubblicitario. Non è azzardato affermare che, con il futurismo, nasce il moderno concetto di pubblicità.

 

 

Con qualche decennio di anticipo sul massimo teorico di comunicazioni sociali, Marshall McLuhan, Marinetti intuisce che "il mezzo è il messaggio" e dà vita a metodi pubblicitari radicalmente innovativi. Una volta, per ovviare alla mancata consegna di volantini da parte della tipografia, i futuristi lanciano foglietti di carta rossa privi di testo, secondo un criterio che oggi i professionisti della pubblicità considerano tra i più sofisticati.

E' però il teatro il veicolo principale per la diffusione del movimento, grazie a quelle "serate futuriste" che destano scandalo. Solitamente gratuite, le serate si svolgono in un teatro affittato; lo spettacolo comprende letture di poesie e di manifesti, musica, presentazione di quadri ed è preceduto da volantinaggi. Chi sta sul palco sfida e provoca il pubblico, che quasi sempre reagisce con lancio di oggetti vari. La situazione, quindi, degenera con l'intervento delle forze dell'ordine e, il giorno successivo, i giornali riferiscono dei tafferugli: un altro modo per farsi pubblicità. Lo showman per eccellenza, inutile dirlo, è proprio Marinetti. Con consumata abilità sa dominare una platea estremamente variegata: aristocratica, borghese, proletaria. In uno spettacolo tenutosi a Napoli uno spettatore lancia sul palco un'arancia: Marinetti la afferra al volo e, flemmatico, comincia a mangiarla, scatenando un uragano di applausi.

 

Le serate non sono però uno spettacolo fine a se stesso, ma si vestono ogni volta di un contenuto diverso. Si va dalle dichiarazioni patriottiche a quelle demolitrici del culto del passato, queste ultime recitate provocatoriamente in città affastellate di monumenti quali Roma, Firenze e Venezia. E ancora contro la città delle gondole, inesauribile fonte di romanticismo, si scatena l'invettiva di Marinetti, che aspira alla creazione di un uomo meccanizzato, "nel quale - scrive - saranno aboliti il dolore morale, la bontà, l'affetto e l'amore, soli veleni corrosivi dell'inesauribile energia vitale". L'anatema colpisce anche la famiglia, officina di sentimenti destabilizzanti: a parere del letterato, con la donna è possibile solo una meccanica funzione riproduttiva.

 

 

Dopo un anno durante il quale il futurismo è appannaggio di soli poeti, un gruppo di pittori si affianca a Marinetti: Carlo Carrà, Umberto Boccioni, Luigi Russolo. A essi seguiranno poi Gino Severini - che tenterà invano di portare con sè Modigliani - e Giacomo Balla.

Dopo una fase di rodaggio, anche per i pittori giunge il momento di provocare. Durante un'esposizione a Milano, nel 1911, il dipinto La risata di Boccioni viene sfregiato da un visitatore. La stessa mostra è violentemente attaccata da Ardengo Soffici sulle colonne de La voce: ciò fornisce il pretesto per due risse tra futuristi e vociani, che si concludono al commissariato ma che gettano le basi per una futura collaborazione. Il cammino del futurismo è ormai inarrestabile, e investe la musica, rappresentata nel gruppo dal maestro Francesco Balilla Pratella, e l'architettura, con Antonio Sant'Elia. Non ne è risparmiata tanto meno la politica. I proclami a sfondo patriottico di Marinetti rivelano un nazionalismo che, negli anni prossimi alla grande guerra, si trasformerà in acceso interventismo. Ma agli inizi, il movimento è aperto a tutte le idee: i compagni di viaggio del padre del futurismo provengono da un'area che va dal socialismo umanitario all'anarchia. E lo stesso Marinetti non si sente troppo lontano da certi atteggiamenti della sinistra massimalista e irregolare, anche se imputa agli anarchici e ai socialisti riformatori un'azione eccessivamente prudente. Egli, quindi, partorisce un programma rivoluzionario diretto a tutto il mondo operaio, stimolandolo all'insurrezione - come scrive nel 1910 su giornale anarchico La demolizione - contro "il peso enorme della macchina sociale ".

 

Nei suoi discorsi ricorre il concetto di "guerra come sola igiene del mondo", che si fa preponderante alla vigilia dell'impresa libica. Nel 1911 Marinetti parte per la Libia come corrispondente per il giornale parigino L'intransigeant; tuttavia, l'invito di andare a trarre ispirazione direttamente dalla guerra non viene raccolto dagli altri futuristi, che preferiscono continuare a ispirarsi altrove. Eppure, l'intuito di Marinetti darà i suoi frutti. Proprio dai campi di battaglia arriva la definitiva consacrazione della "parola in libertà" come simbolo del futurismo. Del 1912 è La battaglia di Tripoli, cantata in presa diretta dell'evento, che presenta vistosi elementi di ciò che poi sarà codificato - sempre nel '12 - nel Manifesto tecnico della letteratura futurista.

 

 

I punti del programma sono sempre undici - cifra che Marinetti considera scaramantica -, il primo dei quali recita: "Bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono". E la compiuta espressione di quanto il letterato si prefigge arriva due anni più tardi con Zang tumb tumb....

... primo libro "parolibero", che può essere non a torto considerato il punto di partenza di tutta la moderna sperimentazione. La fonte di ispirazione dell'opera è, come abbiamo detto, la guerra; in particolare, il conflitto bulgaro-turco del 1912, vissuto in prima persona dall'autore. Il quale, però, nella sua ricerca di un segnale totalmente nuovo, si lascia ispirare anche dall'estetica della pittura futurista, i cui esponenti lavorano sulle tele cercando di esprimere la "simultaneità degli stati d'animo".

E' loro intenzione rappresentare "ciò che si ricorda e ciò che si vede": su questa strada s'incammina Marinetti, aiutato dalla roboante scenografia delle battaglie e deciso più che mai a scombinare i canoni del linguaggio tradizionale. L'impatto, ovviamente, non è dei più morbidi: all'interno dello stesso movimento c'è chi ne è entusiasta e chi invece, scandalizzato, se ne andrà. Il sasso, tuttavia, è stato gettato e le acque si muovono. Il 1912 è anche l'anno del debutto internazionale dei pittori futuristi, con una mostra a Parigi che la stampa francese - complice il "pubblicitario" Marinetti - segue con attenzione.

 

Le reazioni, anche qui, sono contrastanti: ad un Gustave Kahn favorevole si oppongono i detrattori Guillaume Apollinaire e Andrè Salmon. L'effetto, comunque, è quello voluto: se ne parla, e l'eco è forte. Nel '13 due ex vociani - Giovanni Papini e Ardengo Soffici, protagonisti qualche anno prima della rissa con i futuristi - fondano la rivista Lacerba. Stanchi del rigorismo di Prezzolini e favoriti dalla costante intermediazione di Palazzeschi, i due abbracciano le idee di Marinetti e tramite la rivista agitano l'ambiente culturale fiorentino. Fuori d'Italia, invece, la "macchina" futurista arriva sino in Russia, dove già autonomamente si erano affermati autori quali Majakovskij e Kamenskij.

 

 

Su invito di Genrich Tasteven, studioso di passaggio a Parigi, Marinetti parte per un ciclo di conferenze tra Mosca e San Pietroburgo. Il bilancio è però deludente: egli giudica negativamente le miriadi di correnti (cubo futuristi, ego futuristi e altro ancora) che caratterizzano il movimento russo; dal canto loro, gli artisti locali considerano Marinetti troppo borghese, distaccato da quel contatto con la terra che connota la loro opera e che, forse, la veste di eccessivo orgoglio etnico. Tornato in Italia, Marinetti si dedica alla promozione del futurismo musicale, favorendo le esibizioni di Balilla Pratella e dei suoi "intonarumori", strumenti che producono fischi, stridori, bisbigli, rombi e che accompagnano l'orchestra.

Al solito, fischi e applausi: tra questi ultimi c'è quello di un tale Igor Stravinskij, che si dimostra interessato alla novità. Insomma, soffia il vento del futurismo, ma con esso anche altri venti, e ben diversi: quelli del primo conflitto mondiale. Coerenti con l'idea che "la guerra è la sola igiene del mondo", i futuristi sono decisamente per l'intervento. Essi ne indovinano una forza in grado di spazzare - come scrive Marinetti - "diplomatici, professori, filosofi, archeologi, (...) greco, latino, storia, senilismo, musei, biblioteche (...)".

 

Convinti che il futurismo abbia significato l'irrompere della guerra nell'arte, si adoperano affinché essa irrompa anche nella società. Organizzano quindi comizi durante i quali lanciano volantini che raffigurano un cuneo che trapassa figure austro-tedesche, apportando un non piccolo contributo all'entrata del Paese nel conflitto. Anche i futuristi vanno in trincea: Marinetti, Boccioni, Sironi, e altri compagni si arruolano nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti. L'esperienza del fronte, però, sarà per alcuni di tale violenza da indurli a ripensamenti.

 

 

Durante quegli anni, tuttavia, il movimento non si ferma e nel 1916 nasce a Firenze la rivista L'Italia futurista, fucina di nuovi poeti "paro - liberi" (tra i quali un giovane Salvatore Quasimodo). Inoltre, Marinetti rivolge la sua attenzione al cinema: nel 1917 gira, con alcuni colleghi, il film Vita futurista. C'è quindi fermento, ma c'è anche un cambiamento all'interno del gruppo dei futuristi.

La guerra si porta via Boccioni e Sant'Elia, mentre Palazzeschi, Carrà e Severini abbandonano il nucleo storico. Marinetti, tuttavia, continua nella sua frenetica attività a tutto campo; è solo con la fine del conflitto che concentra le sue forze sulla politica. Da questo momento inizia un periodo di flessione dell'artista e dell'uomo, incapace di imprimere al movimento una precisa direzione (grazie anche alla confusione politica che regna nel triennio '18-'22).

E' nel gennaio del 1918 che Marinetti elabora l'idea di fondare un partito futurista che razionalizzi i fermenti politici e sociali che animavano la fine del conflitto. Il programma è ambizioso e articolato in una miriade di temi che vanno dall'educazione patriottica del proletariato a quella militare nelle scuole, dalla riduzione degli effettivi nell'esercito a un parlamento formato a soli tecnici. Il programma prevede anche un miglioramento delle condizioni dei lavoratori e una decisa rivalutazione della donna, ammessa al voto, parificata all'uomo nelle retribuzioni e non più soggetta all'autorizzazione maritale. Ciò significa anche la disgregazione della famiglia: Marinetti chiede il divorzio e la svalutazione graduale dell'istituzione matrimoniale per arrivare al libero amore.

 

Gli intenti rivoluzionari marinettiani - diretti a colpire quegli ex neutralisti, socialisti e borghesi che secondo l'autore infettano la politica italiana - catturano l'attenzione di Benito Mussolini. Marinetti ne è dapprima affascinato, convinto che sia "pieno di idee futuriste". Ma col tempo muterà opinione, deluso dalla sete di potere e dal temperamento napoleonico che ne segnano il carattere. Il legame iniziale tra i due, però, è forte, e le collaudate capacità organizzative del futurista vanno tutte a vantaggio della formazione del fascismo, grazie all'apporto della rivista Roma futurista - organo del partito marinettiano - fondata nel febbraio 1919.

 

 

Marinetti partecipa all'adunata milanese durante la quale nacquero i fasci di combattimento, ma i metodi mussoliniani non gli vanno a genio. Nell'aprile dello stesso anno è coinvolto in quei tumulti che si concludono con l'incendio della redazione dell'Avanti, distinguendosi però per aver protetto un operaio socialista dalla violenza dei fascisti. E' un irregolare: contesta la pachidermica inerzia politica e parlamentare di quegli anni, ma è lontano dalla protesta dei fasci e si allontana sempre più da Mussolini, pur non divorziandone. Infatti, in novembre si candida alle elezioni politiche nel "listone" del blocco fascista. Non viene eletto, e la sua delusione si manifesta prima con un ritorno a occuparsi di arte, poi con la rottura con i fasci di combattimento. Inevitabile, a questo punto, un matrimonio con la fazione opposta, quella comunista, che però rimarrà allo stadio del tentativo. Nell'estate del 1920 Amadeo Bordiga esprime interesse per gli elementi rivoluzionari dell'intervenismo.

Tuttavia, i punti di contatto tra i futuristi e i comunisti si limitano a poche cose: nel testo Al di là del comunismo (pubblicato nel '20 ma elaborato durante i ventuno giorni di carcere che sconta a San Vittore all'indomani della sconfitta elettorale, in seguito a una perquisizione della polizia nella sede del comitato elettorale fascista, nel quale era nascosto un deposito di armi), Marinetti disapprova le aspirazioni di livellamento sociale bolsceviche, sostenendo che la rivoluzione russa è un fenomeno estraneo agli italiani, popolo inguaribilmente individualista. Comunque, egli apprezza l'apertura dei bolscevichi alle avanguardie artistiche. Al di là del comunismo è il punto di partenza di una revisione, all'interno del futurismo, che non porterà a risultati politici. Dopo alcune iniziative comuni, i rapporti con la sinistra si lacerano: Antonio Gramsci da un lato ne riconosce l'impatto distruttivo nei confronti della cultura borghese e al contempo rivoluzionario nell'arte, nel costume e nel linguaggio, dall'altro - con Bordiga - ne contesta l'inattività sul piano dell'azione politica.

Marinetti, quindi si ritrova da solo. Durante gli anni di "flirt" con la sinistra comunista - comunque - non manca lo slancio artistico. Nel '21 nasce il "tattilismo", forma d'arte e di vita che permette di migliorare i rapporti interpersonali, favorendo la comunicazione del pensiero attraverso il tatto. Un ruolo importante, in questo nuovo parto, gioca Benedetta Cappa, detta Beny, una ragazza conosciuta nello studio di Balla della quale Marinetti si innamora perdutamente. I due si sposano proprio nel 1921, e grazie a quell'unione - dalla quale nascono Vittoria nel '27, Ala nel '28 e Luce nel '32 - il letterato abbandona la concezione di un amore fatto solo di rapporti fisici, riscoprendo le virtù dei sentimenti. Gli amplessi con Beny, conditi però da robustissime dosi di romanticismo, fanno sì che Marinetti si convinca delle inesplorate capacità del tatto, in grado di aumentare la percezione di qualsiasi esperienza.

"La stretta di mano - scrive -, il bacio e l'accoppiamento sono forme di trasmissione del pensiero". Nasce così l'opera d'arte da toccare per meglio intendere l'idea del suo creatore. Ma, come abbiamo detto, si tratta solo di un'impennata. La delusione politica è intensa, ampiamente manifestata in due scritti del '22: il romanzo Gli Indomabili e il manifesto L'inegualismo, che ne segnano l'abbandono per tornare all'arte. L'imporsi del fascismo, però, induce Marinetti a una svolta "all'indietro" per chiedere a Mussolini di considerare l futurismo come "arte di regime". Il duce lo appoggia; tuttavia, la congenita irregolarità di Marinetti ne complica la posizione in seno al fascismo. Il giornale L'impero dà spazio ai futuristi, ma proprio per questo viene criticato. Mussolini è però legato a Marinetti da una sincera amicizia, e proprio grazie ad essa quest'ultimo si permette iniziative antifasciste, quali la liberazione di Ferruccio Parri dal confino di Lipari. Durante i primi anni del regime l'attività artistica è rallentata; non lo è invece quella pubblicitaria. Marinetti compie continui viaggi all'estero, esportando il verbo futurista e influenzando numerose correnti d'avanguardia. Tra un viaggio e l'altro, però, Marinetti si inventa anche un nuovo tipo di teatro: lo spettacolo multiplo, regno del caos. L'orchestra è sparpagliata tra il pubblico in sala, alcuni suoi componenti intonano a voce il suono degli strumenti, sul palco - nella nicchia del suggeritore - c'è il "dimenticatore", col ruolo di confondere gli attori e far loro sbagliare le battute.

Lo scandalo, questa volta, è minore rispetto alle vecchie serate futuriste; ciò dimostra, però, che l'inventiva marinettiana non è esaurita. Anzi, nuovi stimoli arrivano dallo sviluppo dell'industria aeronautica. L'aeroplano incarna un mito, e Marinetti ne è totalmente coinvolto. Con la consueta indipendenza da tutto, propone nei primi anni '30 il rivoluzionario Dizionario Aereo. Mentre il regime si adopera alacremente per l'eliminazione dalla lingua italiana delle parole straniere, Marinetti - ispirato dagli apparecchi - propone l'adozione di termini che ne imitino la velocità. Scrive nel 1931: "distruggere il tempo mediante blocchi di parole fuse", "mediante un'alogica miscela dei vari tempi dei verbi esprimere la varietà delle posizioni dell'apparecchio". Le ali sulle quali viaggia il nuovo messaggio linguistico sono quelle della radio, che appunto con l'aereo domina la tarda stagione futurista. Una stagione durante la quale il movimento gode di fama mondiale, che incoraggia il suo creatore ad una continua sperimentazione: fotografia, danza, fino alla gastronomia con gli inconsueti accoppiamenti di sapore dei "bocconi simultanei".

Nemmeno la moda riesce a evitare il ciclone futurista, e anche in questo settore Marinetti conferma il suo spirito innovatore, proponendo soluzioni che sono agli antipodi dei canoni fascisti del fez e dell'orbace. Sono trasgressioni che il regime gli perdona, data la risonanza internazionale del movimento, che contribuisce a esportare elementi italiani. Il clima politico, però si fa via via più teso e condiziona la libertà di cui gode Marinetti. E a metà degli anni Trenta il capo del futurismo si trova tra i due fuochi, l'Asse e i suoi avversari. Da un lato, il nazismo ne combatte l'avanguardia; dall'altro, gli ambienti internazionali - soprattutto quelli francesi, a lui molto vicini - ne contestano l'appoggio al regime. E proprio dalle frange estremiste di quest'ultimo, filonaziste, arrivano gli attacchi più dolorosi.

Lo scontro verte sulla modernità del futurismo, difesa a spada tratta da Marinetti - che la interpreta come espressione di italianità - e osteggiata dal conservatorismo oltranzista del regime. I contrasti, però, vengono rimossi con l'inizio della guerra, che sposta l'attenzione su altri problemi. L'epoca del futurismo può a questo punto dirsi conclusa. Marinetti vive gli anni del conflitto studiando, quasi da semiologo, nuovi sviluppi della "parola in libertà" e curandosi da ripetute crisi cardiache, una delle quali - il 2 dicembre 1944 - gli è fatale. Difficile tracciare un bilancio sul futurismo e sulla figura di Filippo Tommaso Marinetti. La sua ambiguità, in particolare, ha causato una vera spaccatura in seno all'ambiente letterario. Ecco, per esempio, il pensiero di Carlo Bo: "...quella che doveva essere l'illimitata libertà del futurismo è stata annullata da un sincero ma inutile patriottismo. (...) noi possiamo rendere omaggio a Marinetti, ma allo stesso tempo non possiamo dimenticare che egli ha sciupato una delle rare occasioni offerte alla letteratura italiana di lavorare fuori dei pregiudizi e delle regole morte". Questo, invece, il pensiero di Ezra Pound: "Marinetti e il futurismo hanno dato un grande impulso a tutta la letteratura europea. Il movimento al quale Joyce, Eliot, io stesso e altri abbiamo dato origine a Londra non sarebbe esistito senza il futurismo".


Filippo Tommaso Marinetti

Manifesti futuristi

Fondazione e manifesto del futurismo
Pubblicato dal «Figaro» di Parigi il 20 febbraio 1909

Esaltazione dei progresso tecnico e scientifico, e delle prospettive affatto nuove che esso apre, passione per il nuovo valore, la velocità, corsa verso il futuro e bisogno di liberarsi dei limiti, dei retaggi che la vecchia cultura impone: sono questi gli elementi base del Manifesto dei futurismo, esasperati in asserzioni dogmatiche quanto quelle della cultura che si vuole distruggere, tanto che dalla letteratura nuova il Manifesto passa ad appoggiare l'interventismo, il nazionalismo, la guerra, come valori, come realizzazione dell'uomo nuovo. Così le giuste istanze contro una letteratura accademica, barbosa, immobile, vengono fuorviate, strumentalizzate, diremmo oggi, associandosi a un progetto politico che non ne raccoglie se non le immagini e le forze superficiali, il fascismo, ma che in realtà ne distrugge le potenzialità innovatrici.

Avevamo vegliato tutta la notte - i miei amici ed io sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perché come queste irradiate dal chiuso fulgore di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture.
Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli, in quell'ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all'esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti. Soli coi fuochisti che s'agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d'ali, lungo i muri della città.
Sussultammo ad un tratto, all'udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sràdica d'improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso i gorghi di un diluvio.
Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l'estenuato borbottio, di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell'ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.
«Andiamo,» diss'io, «andiamo, amici! Partiamo! Finalmente, la mitologia e l'ideale mistico sono superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto vedremo volare i primi Angeli!... Bisognerà scuotere le porte della vita per provarne i cardini e i chiavistelli!... Partiamo! Ecco, sulla terra, la primissima aurora! Non v'è cosa che agguagli lo splendore della rossa spada del sole che schermeggia per la prima volta nelle nostre tenebre millenarie! ... »
Ci avvicinammo alle tre belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. lo mi stesi sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio stomaco.
La furente scopa della pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò attraverso le vie, scoscese e profonde come letti di torrenti. Qua e là una lampada malata, dietro i vetri d'una finestra, c'insegnava a disprezzare la fallace matematica dei nostri occhi perituri.
Io gridai: «Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!»
E noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante.
Eppure non avevamo un Amante ideale che ergesse fino alle nuvole la sua sublime figura, né una Regina crudele a cui offrire le nostre salme, contorte a guisa di anelli bizantini! Nulla, per voler morire, se non il desiderio di liberarci finalmente dal nostro coraggio troppo pesante!
E noi correvamo schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera, sguardi vellutati e carezzevoli.
«Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio, e gettiamoci, come frutti pimentati d'orgoglio, entro la bocca immensa e tôrta del vento!... Diamoci in pasto all'Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell'Assurdo! »
Avevo appena pronunziate queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà folle dei cani che voglion mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contraddittori. Il loro stupido dilemma discuteva sul mio terreno... Che noia! Auff!... Tagliai corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all'aria in un fossato...
Oh! materno fossato, quasi pieno di un'acqua fangosa! Bel fossato d'officina! lo gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese... Quando mi sollevai - cencio sozzo e puzzolente - di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia!
Una folla di pescatori armati di lenza e di naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al prodigio. Con cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente dal fosso, abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buon senso e le sue morbide imbottiture di comodità.
Credevano che fosse morto, il mio bel pescecane, ma una sta, malattia che si riteneva colmia carezza bastò a rianimarlo, ed eccolo risuscitato, eccolo Pisse le persone sedentarie). in corsa, di nuovo, sulle sue pinne possenti!
Allora, col volto coperto della buona melma delle officine - impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti - noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra:

 

Manifesto del futurismo

1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.
2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6, Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari.
Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl'innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.
Musei: cimiteri!... Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che varino trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all'anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti... ve lo concedo. Che una volta all'anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo... Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volere imputridire?
E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell'artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?... Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un'urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.
Volete dunque sprecare tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?
In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvari di sogni crocifissi, registri di slanci troncati! ... ) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl'infermi, pei prigionieri, sia pure: - l'ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l'avvenire è sbarrato... Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!
E vengano dunque, gli allegri incendiari dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!... Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!... Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite senza pietà le città venerate!
I più anziani fra noi, hanno trent'anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l'opera nostra. Quando avremo quarant'anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!
Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando carinamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche.
Ma noi non saremo là... Essi ci troveranno alfine - una notte d'inverno - in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell'atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d'oggi fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini.
Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati dal nostro superbo, instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile in quanto ché i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi.
La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. - L'arte, infatti, non può essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia.
I più anziani fra noi hanno trent'anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, d'audacia, d'astuzia e di rude volontà; li abbiamo gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato... Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!... Ve ne stupite?... E logico, poiché voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!
Ci opponete delle obiezioni?... Basta! Basta! Le conosciamo... Abbiamo capito!... La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. - Forse!... Sia pure!... Ma che importa? Non vogliamo intendere!... Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!...
Alzare la testa!...
Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!...

 

Manifesto tecnico della letteratura futurista
11 maggio 1912

Abbiamo visto, nel manifesto precedente, quale intervento sui contenuti dell'arte e della letteratura intendesse operare il rinnovamento futurista. Questo manifesto tecnico - datato 11 maggio 1912 - propone, invece, di regolare l'intervento sulle forme letterarie. Era accluso alla prima antologia dei Poeti futuristi pubblicata dalle Edizioni di «Poesia», rivista internazionale fondata a Milano nel 1905 dallo stesso Marinetti con Sem Benelli e Vitaliano Ponti. Tra i collaboratori italiani sono, tra gli altri, Pascoli, Gozzano, Lucini e Palazzeschi. Proprio sul «manifesto tecnico» Lucini ruppe con Marinetti, per motivi politici (era contrario all'intervento militare in Libia) e letterari.

In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell'aviatore, io sentii l'inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando!
Ecco che cosa mi disse l'elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaioli di Milano. E l'elica soggiunse:
1. Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono.
2. Si deve usare il verbo all'infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all'io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all'infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e l'elasticità dell'intuizione che la percepisce.
3. Si deve abolire l'aggettivo, perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L'aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è inconcepibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una meditazione.
4. Si deve abolire l'avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l'una all'altra le parole. L'avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono.
5. Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto.
Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza dei mondo, la percezione per analogia diventa sempre più naturale per l'uomo. Bisogna dunque sopprimere il come, il quale, il così, il simile a. Meglio ancora, bisogna fondere direttamente l'oggetto con l'immagine che esso evoca, dando l'immagine in scorcio mediante una sola parola essenziale.
6. Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni, s'impiegheranno segni della matematica: + - x : = > <, e i segni musicali.
7. Gli scrittori si sono abbandonati finora all'analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l'animale all'uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, pressa a poco, a una specie di fotografia... (Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri, più avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante a una piccola macchina Morse. Io lo paragono invece a un'acqua ribollente. V'è in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi.)
L'analogia non è altro che l'amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico, e polimorfo, può abbracciare la vita della materia.
Quando nella mia Battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a un'orchestra, una mitragliatrice ad una donna fatale, ho introdotto intuitivamente una gran parte dell'universo in un breve episodio di battaglia africana.
Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un seguito ininterrotto di immagini nuove senza di che non è altro che anemia e clorosi.
Quanto più le immagini contengono rapporti vasti, tanto più a lungo esse conservano la loro forza di stupefazione. Bisogna - dicono - risparmiare la meraviglia del lettore. Eh! via! Curiamoci, piuttosto, della fatale corrosione del tempo, che distrugge non solo il valore espressivo di un capolavoro, ma anche la sua forza di stupefazione. Le nostre vecchie orecchie troppe volte entusiaste non hanno forse già distrutto Beethoven e Wagner? Bisogna dunque abolire nella lingua tutto ciò che essa contiene in fatto d'immagini stereotipate, di metafore scolorite, e cioè quasi tutto.
8. Non vi sono categorie d'immagini, nobili o grossolane o volgari, eccentriche o naturali. L'intuizione che le percepisce non ha né preferenze né partiti-presi. Lo stile analogico è dunque padrone assoluto di tutta la materia e della sua intensa vita.
9. Per dare i movimenti successivi d'un oggetto bisogna dare la catena delle analogie che esso evoca, ognuna condensata, raccolta in una parola essenziale.
Ecco un esempio espressivo di una catena di analogie ancora mascherate e appesantite dalla sintassi tradizionale:

Eh sì! voi siete, piccola mitragliatrice, una donna affascinante, e sinistra, e divina, al volante di una invisibile cento cavalli, che rugge con scoppii d'impazienza. Oh! certo fra poco balzerete nel circuito della morte, verso il capitombolo fracassante o la vittoria!... Volete che io vi faccia dei madrigali pieni di grazia e di colore? A vostra scelta signora... Voi somigliate per me, a un tribuno proteso, la cui lingua eloquente, instancabile, colpisce al cuore gli uditori in cerchio, commossi... Siete, in questo momento, un trapano onnipotente, che fora in tondo il cranio troppo duro di questa notte ostinata... Siete, anche, un laminatoio, un tornio elettrico, e che altro? Un gran cannello ossidrico che brucia, cesella e fonde a poco a poco le punte metalliche delle ultime stelle!.. (Battaglia di Tripoli)

In certi casi bisognerà unire le immagini a due a due, come le palle incatenate, che schiantano, nel loro volo tutto un gruppo d'alberi.
Per avviluppare e cogliere tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più inafferrabile nella materia, bisogna formare delle strette reti d'immagini o analogie, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni. Salvo la forma a festoni tradizionale, questo periodo del mio Mafarka il futurista è un esempio di una simile fitta rete di immagini:

Tutta l'acre dolcezza della gioventù scomparsa gli saliva su per la gola, come dai cortili delle scuole salgono le grida allegre dei fanciulli verso i maestri affacciati al parapetto delle terrazze da cui si vedono fuggire i bastimenti...

Ed ecco ancora tre reti d'immagini:

Intorno al pozzo della Bumeliana, sotto gli olivi folti, tre cammelli comodamente accovacciati nella sabbia si gargarizzavano dalla contentezza, come vecchie grondaie di pietra, mescolando il ciac-ciac dei loro sputacchi ai tonfi regolari della pompa a vapore che dà da bere alla città. Stridori e dissonanze futuriste, nell'orchestra profonda delle trincee dai pertugi sinuosi e dalle cantine sonore, fra l'andirivieni delle baionette, archi di violino che la rossa bacchetta del tramonto infiamma di entusiasmo...

È il il tramonto-direttore d'orchestra, che con un gesto ampio raccoglie i flauti sparsi degli uccelli negli alberi, e le arpe lamentevoli degli insetti, e lo scricchiolìo dei rami, e lo stridio delle pietre. È lui che ferma a un tratto i timpani delle gamelle e dei fucili cozzanti, per lasciar cantare a voce spiegata sull'orchestra degli strumenti in sordina, tutte le stelle d'oro, ritte, aperte le braccia, sulla ribalta del cielo. Ed ecco una gran dama allo spettacolo... Vastamente scollacciato, il deserto infatti mette in mostra il suo seno immenso dalle curve liquefatte, tutte verniciate di belletti rosei sotto le gemme crollanti della prodiga notte. (Battaglia di Tripoli)

10. Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell'intelligenza cauta e guardinga, bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un maximum di disordine.
11. Distruggere nella letteratura l' «io», cioè tutta la psicologia. L'uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l'essenza a colpi d'intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici.
Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi, la respirazione, la sensibilità e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno ecc. Sostituire la psicologia dell'uomo, ormai esaurita, con l'ossessione lirica della materia.
Guardatevi dal prestare alla materia i sentimenti umani, ma indovinate piuttosto i suoi differenti impulsi direttivi, le sue forze di compressione, di dilatazione, di coesione, e di disgregazione, le sue torme di molecole in massa o i suoi turbini di elettroni. Non si tratta di rendere i drammi della materia umanizzata. È la solidità di una lastra d'acciaio, che c'interessa per sé stessa, cioè l'alleanza incomprensibile e inumana delle sue molecole o dei suoi elettroni, che si oppongono, per esempio, alla penetrazione di un obice. Il calore di un pezzo di ferro o di legno è ormai più appassionante, per noi, del sorriso o delle lacrime di una donna.
Noi vogliamo dare, in letteratura, la vita del motore, nuovo animale istintivo del quale conosceremo l'istinto generale allorché avremo conosciuto gl'istinti delle diverse forze che lo compongono.
Nulla è più interessante, per un poeta futurista, che l'agitarsi della tastiera di un pianoforte meccanico. Il cinematografo ci offre la danza di un oggetto che si divide e si ricompone senza intervento umano. Ci offre anche lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa d'un uomo a 200 chilometri all'ora. Sono altrettanti movimenti della materia, fuor dalle leggi dell'intelligenza, e quindi di una essenza più significativa.
Bisogna introdurre nella letteratura tre elementi che furono finora trascurati:

1. il rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti);
2. il peso (facoltà di volo degli oggetti);
3. l'odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti).

Sforzarsi di rendere per esempio il paesaggio di odori che percepisce un cane. Ascoltare i motori e riprodurre i loro discorsi.
La materia fu sempre contemplata da un io distratto, freddo, troppo preoccupato di sé stesso, pieno di pregiudizi di saggezza e di ossessioni umane.
L'uomo tende a insudiciare della sua gioia giovane o del suo dolore vecchio la materia, che possiede una ammirabile continuità di slancio verso un maggiore ardore, un maggior movimento, una maggiore suddivisione di sé stessa. La materia non è né triste né lieta. Essa ha per essenza il coraggio, la volontà e la forza assoluta. Essa appartiene intera al poeta divinatore che saprà liberarsi dalla sintassi tradizionale, pesante, ristretta, attaccata al suolo, senza braccia e senza ali perché è soltanto intelligente. Solo il poeta asintattico e dalle parole slegate potrà penetrare l'essenza della materia e distruggere la sorda ostilità che la separa da noi.
Il periodo latino che ci ha servito finora era un gesto pretenzioso col quale l'intelligenza tracotante e miope si sforzava di domare la vita multiforme e misteriosa della materia. Il periodo latino era dunque nato morto.
Le intuizioni profonde della vita congiunte l'una all'altra, parola per parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di una psicologia intuitiva della materia. Essa si rivelò al mio spirito dall'alto di un aeroplano. Guardando gli oggetti, da un nuovo punto di vista, non più di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho potuto spezzare le vecchie pastoie logiche e i fili a piombo della comprensione antica.
Voi tutti che mi avete amato e seguito fin qui, poeti futuristi, foste come me frenetici costruttori d'immagini e coraggiosi esploratori di analogie. Ma le vostre strette reti di metafore sono disgraziatamente troppo appesantite dal piombo della logica. lo vi consiglio di alleggerirle, perché il vostro gesto immensificato possa lanciarle lontano, spiegate sopra un oceano più vasto.
Noi inventeremo insieme ciò che io chiamo l'immaginazione senza fili. Giungeremo un giorno ad un'arte ancor più essenziale, quando oseremo sopprimere tutti i primi termini delle nostre analogie per non dare più altro che il seguito ininterrotto dei secondi termini. Bisognerà, per questo, rinunciare ad essere compresi. Esser compresi, non è necessario. Noi ne abbiamo fatto a meno, d'altronde, quando esprimevamo frammenti della sensibilità futurista mediante la sintassi tradizionale e intellettiva.
La sintassi era una specie di cifrario astratto che ha servito ai poeti per informare le folle del colore, della musicalità, della plastica e dell'architettura dell'universo. La sintassi era una specie d'interprete o di cicerone monotono. Bisogna sopprimere questo intermediario, perché la letteratura entri direttamente nell'universo e faccia corpo con esso.
Indiscutibilmente la mia opera si distingue nettamente da tutte le altre per la sua spaventosa potenza di analogia. La sua ricchezza inesauribile d'immagini uguaglia quasi il suo disordine di punteggiatura logica. Essa mette capo al primo manifesto futurista, sintesi di una 100 HP lanciata alle più folli velocità terrestri.
Perché servirsi ancora di quattro ruote esasperate che s'annoiano, dal momento che possiamo staccarci dal suolo? Liberazione delle parole, ali spiegate dell'immaginazione, sintesi analogica della terra abbracciata da un solo sguardo e raccolta tutta intera in parole essenziali.
Ci gridano: «La vostra letteratura non sarà bella! Non avremo più la sinfonia verbale, dagli armoniosi dondolii, e dalle cadenze tranquillizzanti!» Ciò è bene inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo, invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta che ci circonda. Facciamo coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e uccidiamo dovunque la solennità. Via! non prendete di quest'arie da grandi sacerdoti, nell'ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull'Altare dell'Arte! Noi entriamo nei domini sconfinati della libera intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!
Non c'è in questo, niente di assoluto né di sistematico. Il genio ha raffiche impetuose e torrenti melmosi. Esso impone talvolta delle lentezze analitiche ed esplicative. Nessuno può rinnovare improvvisamente la propria sensibilità. Le cellule morte sono commiste alle vive. L'arte è un bisogno di distruggersi e di sparpagliarsi, grande innaffiatoio di eroismo che inonda il mondo. 1 microbi - non lo dimenticate - sono necessari alla salute dello stomaco e dell'intestino. Vi è anche una specie di microbi necessaria alla vitalità dell'arte, questo prolungamento della foresta delle nostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell'infinito dello spazio e del tempo.
Poeti futuristi! lo vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a odiare l'intelligenza, ridestando in voi la divina intuizione, dono caratteristico delle razze latine. Mediante l'intuizione, vinceremo l'ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori.
Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l'amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell'uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall'idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell'intelligenza logica.

 

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