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Arte Concettuale Movimento sviluppatosi a partire dalla metà degli anni '60 a livello internazionale basato su una concezione dell'arte che rifiuta di identificare il lavoro dell'artista con la produzione di un qualsiasi oggetto di più o meno rilevante qualità estetica e ritiene che l'essenza dell'arte sia invece nell'idea, nel concetto che precede e conforma l'opera. I precedenti di questo atteggiamento sono numerosi e vanno dalle premesse mentali di gran parte dell'opera di Magritte ("Ceci n'est pas une pipe", 1929) a tutta l'opera di Duchamp (il riferimento più frequente del concettualismo), a quella di Fontana, Klein e Manzoni, a certa arte visuale e programmata con la sua attenzione al progetto e al gioco o funzionamento dell'intelligenza (Stella, Lo Savio, Castellani, Colombo), agli esiti dell'arte minimal e ambientale, con la loro attenzione al calcolo da cui nasce l'opera, alla trasformazione dell'ambiente in opera, con Morris, Judd, Andre, LeWitt.
Un'altro versante del concettuale è la performance e la body art, con Pane, Rainer, Lüthi, Abramovic, Acconci, Ontani, Nitsch.
La ricerca è condotta a rifondare la comprensione della realtà partendo dalla demistificazione di tutte le pratiche rappresentative e dando campo libero al pensiero per indagare l'essenza delle cose e delle relazioni tra di esse.
Sono non a caso le esperienze tendenti a liberare l'arte dalla schiavitù dell'oggetto e che privilegiano il processo mentale che precede l'esecuzione, nel quale l'opera è già compiuta. Ed è proprio il pensiero, il concetto, che diviene centrale per la nuova poetica, che assumerà appunto il nome di "concettuale", a discapito del prodotto. L'atteggiamento ha una perfetta corrispondenza con l'umore fortemente ideologizzato del tempo.
L'arte si libera da qualsiasi orpello che può legarla al mondo della produzione e al potere e si pone come atto rivoluzionario nella ricerca della sua propria essenza che è allo stesso tempo ricerca della verità attinente all'essere. Da tale premessa deriva la disinvoltura e l'indifferenza con la quale gli artisti che seguono questa linea di pensiero utilizzano i mezzi più vari ed eterogenei, desunti da qualsiasi ambiente e da qualsiasi disciplina utile allo scopo, allargando così enormemente il campo di azione dell'arte. Se infatti l'arte è in primo luogo"processo di conoscenza" e la sua materializzazione ha un'importanza relativa avendo soprattutto la funzione di veicolo attraverso il quale si trasmette l'idea, il campo di azione dell'arte si allarga alla sfera di tutti gli strumenti espressivi che il pensiero può concepire come adeguati allo scopo. Qualsiasi tecnica o materiale possono essere utilizzati e nell'arte entrano oltre a materiali inediti come la terra, le piante, l'acqua del mare, i materiali sintetici industriali e così via, nuove categorie come la durata (l'evento o happening) o l'uso del corpo (bodyart).
L'impostazione teorica del concettualismo coinvolge anche la condizione operativa dell'artista in quanto elemento di un contesto sociale. Il suo impegno si articola così da una parte in un riesame completo della natura dell'arte al di là dell'apparenza dei suoi prodotti e dall'altra in un comportamento di chiara opposizione nei confronti del sistema. Questi due aspetti del suo operare sono inoltre inscindibili l'uno dall'altro.
Sol LeWitt (1928) pur rimanendo molto vicino alle realizzazioni minimal, del resto vicine a loro volta al concettuale, è uno dei primi teorici del movimento. Scrive su Art Forum nel 1967: "Nell'arte concettuale l'idea concetto è l'aspetto più importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma concettuale di arte, vuol dire che tutte le programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e l'esecuzione è una faccenda meccanica. L'idea diventa una macchina che crea l'arte."
E nei suoi lavori è palese come sia l'idea a costituire l'opera: egli porta a compimento secondo la tecnica minimal una riduzione della forma ai suoi termini più essenziali in modo da rendere chiara senza inutili distrazioni la relazione matematica in cui gli elementi-segni del lavoro sono posti in connessione dal progetto mentale che li ordina e tale progetto, tale idea è il vero e unico contenuto dell'opera. Quando LeWitt organizza una successione di orme basate sul quadrato che da superficie diviene volume cubico e poi parallelepipedo, con una scansione in distanze uguali e misurabili entro una struttura che comprende tutte le possibili varianti, è evidente che la forma particolare in cui si è organizzato il lavoro è solo una conseguenza delle relazioni logiche e matematiche sulla base delle quali è stato costruito e che queste sono il vero contenuto dell'opera.
Joseph Kosuth (1945) svolge una intensa attività teorica in ambito concettuale i confini della quale si confondono con quelli della sua stessa produzione artistica, a partire dalla celebre "One and Three Chairs" del 1965, in cui vengono presentate tre versioni di una sedia, una iconica (la fotografia), una fisica (la sedia reale), una verbale (la definizione di sedia da vocabolario), portando allo scoperto la loro equivalenza comunicativa e nello stesso tempo evidenziando nel fatto comunicativo il comune denominatore di ogni possibile veste del soggetto, la sua vera natura e nello stesso tempo la vera natura del lavoro. Si può pensare che qualsiasi altra sedia e anche qualsiasi altro oggetto diverso può assolvere la funzione sopra descritta, così come in un altro lavoro di Kosuth, "Qualsiasi lastra di vetro di un metro e mezzo da appoggiare a qualsiasi muro", si può, come egli stesso scrive, "pensare che qualsiasi altro pezzo di vetro sarebbe potuto andare altrettanto bene, sicché l'opera non dipendeva da quel vetro particolare, ma esisteva molto in astratto". Conseguentemente l'opera d'arte viene considerata soprattutto come "proposizione linguistica che trova in se stessa il criterio del proprio valore" (Kosuth). In questo contesto Kosuth esplora anche il campo della tautologia: spostandosi l'arte dal lavoro alla riflessione sul lavoro, all'enunciazione di un concetto, se la stessa enunciazione costituisce visivamente l'opera il significato coincide, tautologicamente, con la sua descrizione, giungendo al massimo di eliminazione del soggettivo e al massimo della verificabilità della correttezza e verità della proposizione.
L'opera di Vincenzo Agnetti (1926-1982) continua sul filo della provocazione intellettuale e del gioco spiazzante dell'intelligenza la poetica di azzeramento del gruppo "Azimuth" che comprendeva Manzoni e al quale egli collabora nel 1959. Il suo lavoro procede inizialmente nel rifiuto della produzione di opere affidandosi ad un'azione di presenza nel contesto dell'arte. Successivamente trasferisce il procedimento di provocazione dell'assenza, della mancanza di qualcosa in un contesto che ne prevede invece la presenza, in opere che esprimono un drammatico senso di vuoto, utile, come egli stesso scrive, a "svilire l'oggetto per mettere a fuoco il concetto", a denaturare cioè l'oggetto togliendogli le caratteristiche specifiche della sua nozione e funzione comune (un testo con lettere sostituite da numeri, una macchina calcolatrice con i numeri sostituiti da lettere, un libro con il testo fisicamente asportato tagliando l'interno delle pagine, ecc.) nel tentativo scoperto di aprire le possibilità di riflessione della mente al di là del consueto e della cultura istituzionalizzata.
Nell'atteggiamento di negazione e dissacratorio dell'arte povera c'è in realtà una volontà di fondo indistruttibile e poetica di riappropriarsi di valori primari come il senso della terra, della natura, dell'energia pura, della storia dell'uomo. Pur nel contesto estremamente politicizzato degli anni '60 l'arte povera appare tuttavia distante dai problemi politici ed economici delle masse nella stessa misura in cui rifiuta ogni inserimento (dell'arte come dei suoi destinatari, le masse) nel sistema e quindi qualsiasi trasformazione di quest'ultimo, ma ne propugna un radicale ribaltamento più vicino all'utopia che al riformismo.
In questo contesto l'assorbimento dell'arte "povera" da parte del sistema "ricco" non è che un incidente esterno ad essa che essa accetta non senza amara disillusione e con un certo addolcimento delle spigolosità dei primi anni dovuto al trascorrere del tempo, all'avanzare dell'età dei suoi protagonisti, all'impossibilità di sostenere in perpetua tensione una rivoluzione permanente che non voglia trasformarsi come tutte le rivoluzioni storiche in restaurazione o dittatura. Non intacca però la convinzione profonda della giustezza del proprio pensiero e della varietà e necessità del proprio operato negli artisti, che continuano a combattere la loro battaglia con immutata fede nelle ragioni teoriche, poetiche e politiche del proprio operare.
La dimostrazione di come il concettuale possa non essere sempre freddamente matematico è data da Pino Pascali (1935-1968), che nel brevissimo arco di tempo della sua produzione giunge a vertici altissimi di sintesi poetica e con istintiva felicità creativa e assoluta coerenza attua una totale presa di coscienza della necessità di recupero dei valori primari dell'esistenza e nello stesso tempo di sottrazione dell'arte al gioco della mercificazione.
Esemplari sono le opere che presentano riferimenti a elementi naturali come il mare o la serie degli animali che realizza con materiali tecnologici spaesanti anche per la tecnica esecutiva a metà tra il modellismo e la simulazione ludica. Scrive Palma Bucarelli: "si afferma la assoluta arbitrarietà dell'agire dell'artista nei confronti di tutto un sistema economico-sociale fondato sul possesso e l'accrescimento del possesso: servirsi di setole acriliche non per fabbricare scope e spazzolini ma bruchi giganti, significa evidentemente ingannare contemporaneamente la natura con l'industria e l'industria con la natura". Altri materiali come metallo fuso, acidi corrosivi, lampade voltaiche (Zorio), animali vivi (Kounellis), pongono ancora di più l'accento sull'essere, sulla trasformazione, sulla durata, sull'azione, a discapito della considerazione di una realtà offerta alla contemplazione e trasformata così inevitabilmente in elemento già distante dalle urgenze e dalle necessità del presente.
Giulio Paolini (1940), inizialmente operante nel gruppo dell'Arte Povera, è un caso a parte nel panorama concettuale. Anche la sua è una continua meditazione dell'arte sull'arte e in questo si colloca al centro della poetica del movimento, ma più che sul sistema linguistico e verbale egli si basa sul sistema delle immagini e più precisamente della visione.
Spesso le sue opere sono incentrate proprio sui modi e sull'essenza del vedere e su rimandi mentali operati attraverso gli elementi oggettivi dell'opera, come nel "Giovane che guarda Lorenzo Lotto", riproduzione di un ritratto frontale di giovane di Lotto, che guardando lo spettatore, grazie alla conoscenza del titolo, fa sentire chi guarda al posto del maestro del Cinquecento, con uno sfasamento di tempo e una sorta di transfert che cala lo spettatore in una dimensione di realtà al di là dell'apparenza fisica del dipinto.
Joseph Beuys (1921-1986) è figura centrale del concettualismo e più in generale di tutta l'arte del '900. Il linguaggio è per Beuys il mediatore tra l'uomo e il suo mondo, tra la natura e la cultura, così come lo sono tutti i materiali organici di cui si serve e che, attraverso il suo processo creativo, pongono in relazione l'uomo con il mondo animale e vegetale, nel tentativo di fondere le diverse culture. L'arte diviene in tale accezione il mezzo comunicativo per eccellenza, capace di unire gli uomini, di congiungere gli opposti, completamente immune da possibili corruzioni e degradazioni, mentre l'artista per Beuys ha il compito del maestro, è colui che insegna attraverso la sua voce e le sue spiegazioni che vengono trascritte su lavagne, uno dei mezzi da lui più usati.
Scrive Achille Bonito Oliva: "Il suo concetto di arte rivoluzionaria corrisponde anche ad una visione in cui gli elementi del vivente concorrono a definire la nuova antropologia dell'uomo. Le azioni di Beuys sostengono sempre l'equazione arte-uomo. All'inizio esiste la materia come energia pura, caos indistinto sottratto alle misure della ragione ordinatrice. Poi l'eroe man mano plasma la crescita di tale materia e la riduce a forma concorrente all'ordine amplificato dell'umano, che ha recuperato accanto alla paralizzante nozione di ragione (tutta occidentale) anche la vitalità aperta della materia della natura. Beuys intende plasmare la realtà come volontà a rappresentazione di una visione del mondo dove concorrono finalmente la volontà, il pensiero, il sentimento. Le opere così diventano tracce e pretesto per portare gli altri uomini nello spazio socratico del dialogo".Performance e Body Art sono un'altra manifestazione della poetica concettuale, con Gina Pane, Rainer, Lüthi, Acconci, Ontani, Abramovic, Nitsch, che assumono il corpo come ulteriore strumento espressivo dell'arte. Al primo orientamento si può riferire l'opera di Luigi Ontani (1943), che trasforma in ogni sua rappresentazione o performance se stesso in un personaggio tratto dalla cultura classica o popolare, trasformando nel contempo il personaggio in Ontani tramite la rappresentazione/esibizione di sé fortemente narcisistica, con un gioco sottile, ironico e malinconico, di ambiguità. Nel versante sadomasochistico l'azione sul corpo non è truce violenza, ma esperienza intellettuale o poetica che acquista la valenza della comunicazione di una presa di coscienza diretta del proprio essere.
La teatralità e il rituale rappresentativo che accompagna il lavoro degli artisti è indicativo del valore attribuito alla trasmissione o alla provocazione diretta e immediata dell'esperienza conoscitiva attuata con l'operazione sul proprio corpo in un dato tempo e in un dato spazio. In Gina Pane (1939-1990) il lavoro sul corpo diviene mistico e autodistruttivo. La comunicazione dell'esperienza di una lucida e programmata offesa corporale, operata con strumenti sottili e domestici e in un certo senso intimi come lamette o vetro, acquista una valenza emotiva sconvolgente per la sincerità vitalistica e l'anelito di assoluto che trasuda dal rigore e dalla determinazione progettuale dell'azione di tortura, ferimento e provocazione del dolore desiderata e attuata su di sé dall'artista. |
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