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Sol LeWitt Nato a Hartford in Connecticut nel 1928, é uno dei più importanti artisti americani di questo secolo. Studia alla Syracuse University di New York e, nella stessa città, insegna alla Museum of Modern Art School e alla Cooper Union. I suoi esordi artistici avvengono nell'ambito del disegno, a matita o, preferibilmente, ad inchiostro.
Essere Sol LeWitt ovvero la filosofia a misura d’uomo:
Eppure, uno dei suoi presupposti era proprio quello di rifuggire dai concettualismi di matrice filosofica: dichiarava infatti di concepire i suoi celebri Location Drawings come satira contro quegli artisti concettuali il cui lavoro rifluisce nella filosofia. Con Sol LeWitt si erge fino ai massimi estremi quanto aveva propugnato Duchamp: arte come pensiero di un manufatto banale, impersonale, uniforme, lontanissimo da velleità illusorie di auto-costituirsi come unicum.
Ma LeWitt va anche oltre, spingendosi fino alla pratica della transitorietà dell’opera: i noti Wall Drawings, ad esempio, realizzati a partire dagli anni ’70, nascevano già col presupposto che sarebbero stati, a fine esposizione, abrasi: il muro, quindi, spazio extra-pittorico per eccellenza, con cui LeWitt amava confrontarsi, in quanto architettura reale museale, eludendo supporti e mediazioni di sorta, non avrebbe mai più recato traccia dell’opera, che nasceva e doveva rimanere come tale: un idea progettuale.
Il cubo sarà il protagonista della produzione di LeWitt: La caratteristica più interessante del cubo è proprio il suo essere relativamente poco interessante. Paragonato a una qualunque altra forma Tridimensionale, il cubo manca di aggressività, non implica movimento ed è il meno emotivo. E' dunque la forma migliore da usare come unica base per ogni funzione più complessa, l'espediente grammaticale da cui far procedere il lavoro.
Poiché è standardizzato e universalmente riconosciuto, non richiede alcuna intenzionalità da parte dell'osservatore; è immediatamente chiaro che il cubo rappresenta il cubo, una figura geometrica che è incontestabilmente se stessa. L'uso del cubo evita la necessità di inventare un'altra forma prestandosi esso stesso a nuove invenzioni.
Il cubo è il punto di approdo di anni di riflessione: come cambiare le sorti dell’arte, arrivando al cuore, alle fondamenta della creazione, del fare, del pensare, dell’ideare; mettere così a nudo le strutture logico-razionali, minimali, che sottendono la gabbia interpretativa cerebrale dell’essere umano: la griglia concettuale, computazionale, attraverso cui guardiamo il mondo, ci relazioniamo allo spazio-tempo, organizziamo le interrelazioni tra noi e l’altro, e come interpretiamo i rapporti tra le cose.
L’intento di LeWitt è di mostrare i nessi del reale: non i contenuti, non i significati, ma il significante, la sintassi, le giunture, i rapporti. Non è un caso che tra i suoi primi lavori, gli after i grandi maestri del passato, ci siano gli omaggi a Piero della Francesca: l’armonia della resa spaziale delle opere di quest’ultimo, infatti, si regge sulla proporzione varata secondo uno stesso modulo matematico reiterato, duplicato, dimezzato, moltiplicato: sottoposto di volta in volta a innumerevoli variazioni di calcoli algoritmici.
Questo è anche il metodo di LeWitt: procede per accumulazione, serie di figure geometriche standard, linee rette in orizzontale, verticale, diagonale, incrociate o parallele: reinventare il processo artistico significa giocare sulla variabilità e l’intermittenza delle strutture geometriche che sottendono l’idea di spazio secondo il pensiero occidentale.
Regolarità, compattezza, austerità, spersonalizzazione, ripetizione, variazione sono le regole ossessive, i ritmi di una resa oggettuale dell’atto mentale, il quale risulta, pur tuttavia, calato in una spazialità reale nel tempo della fruizione. Veri e propri paradossi quelli con cui LeWitt giostra la propria sperimentazione, portandola agli estremi, senza timore di contraddizioni: lo spazio della razionalità, metodico, sistematico, preciso, nitido, nella sua ossessione per la ripetizione, si fa compulsivo e irrazionale: abissale.
È così che dalle Modular Structures LeWitt approda, fondandone i principi, alla conceptual art. È del ’67 il testo Paragraphs in Conceptual art, in cui si esalta l’arte come puro atto mentale di concezione, in antitesi alla fisicità della forma o l’emotività della sua presenza. Di qui le Serial Structures, i disegni tecnici di scomposizione di quadrilateri, in tutte le possibili variazioni, e a due o tre dimensioni.
Si approda, quindi, a quelli che sono considerati un mito nell’arte contemporanea, pari al dripping di Pollock: i Wall Drawings. Minimal e Conceptual si saldano assieme fragorosamente, se mediante pareti bianche e grafite, unici elementi della raffigurazione, si articolano reticoli di segni uguali a se stessi a riempire il muro, su indicazione progettuale. L’operazione di liberazione dall’ego creativo mimetico di ascendenza romantica dell’artista artifex collima nei Location Drawings del ’73, in cui i progetti sono ideati per un determinato spazio, su commissione stessa degli enti museali, mentre le indicazioni dei prontuari si fanno sempre più prolisse e ossessive per disegni scarni ed essenziali: più informazioni fornisci e più diventa folle finché, per costruire una forma semplicissima devi scrivere tre pagine di testo sostiene LeWitt. Nell’81, gli Isonometric Drawings: il triangolo, quadrato e cerchio, esplorati in tutte le possibili variazioni di resa spaziale e tridimensionale, attraverso il sistema di rappresentazione assonometrico.
L’ars combinatoria è il principio strutturale della produzione artistica di LeWitt: l’infinita gamma di possibilità di rendere quadrati, cubi, cerchi, triangoli, piramidi, linee: l’immaginazione non è nella concezione di forme note a tutti, ma nel pensarle, destrutturarle, combinarle: il processo inventivo segue tautologicamente le stesse modalità di organizzazione dei contenuti comune all’umanità: numero finito di elementi (lettere alfabetiche, parole, etc.) e capacità innovativa di combinarli fra loro in modo inedito.
Reticoli, angoli, rette, figure piane e solide: ma anche il colore. Esso assume nelle opere di LeWitt una valenza assoluta: la tonalità deve restituire tutta l’ontologia di cui è capace l’idea della concezione del colore stesso. Anche qui la creatività, intesa in senso tradizionale, si eclissa: si persegue programmaticamente la spersonalizzazione totale del processo artistico.
Le fasce di colore dipinte sulla mitica Barolo Chapel per i Ceretto a Brunate furono realizzate direttamente con i pigmenti in pastello, che LeWitt massaggiava con il palmo della mano sulla superficie da dipingere finché il tono, la consistenza, le sfumature e le striature non erano quelle desiderate.
Anche in questo risiede il paradosso: artista della modernità assoluta, della riduzione fino all’osso dell’espressione artistica, dell’idea di arte intesa nella sua accezione strettamente concettuale, adottava tecniche, come quella dei pigmenti, antichissime: lavorava come un vecchio maestro medievale realizzatore di affreschi. Questa doppia anima è ciò che allontana le sue opere dall’asetticità comunicativa, pur essendo esse concepite per mostrare, con rigore e metodo, in un procedere incalzante, l’intenzione della messa a nudo della struttura del reale.
Sol LeWitt, uno dei padri dell'arte concettuale e minimalista, è morto a New York a 78 anni. Le sue sculture e i dipinti geometrici e allegramente colorati hanno uno spazio importante nel pantheon dell'arte contemporanea americana. Schivo e poco amante delle interviste, negli anni Sessanta decise di dedicarsi alle pitture murali, una forma d'arte per definizione transitoria perché tutte le superfici prima o poi sono destinate ad essere riverniciate: ma LeWitt riteneva che l'idea dell'artista fosse più importante dell'opera prodotta. Aveva vissuto negli anni Ottanta in Italia, a Spoleto, prima di tornare ad Hartford, la città del Connecticut dove era nato nel 1928.
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