GINA PANE
(Biarritz 1939-Parigi 1990)

Artista francese.
É stata tra i rappresentanti più autorevoli della body art. La Pane sosteneva che il corpo è, al tempo stesso, progetto/materiale/esecutore di una pratica artistica e trova il suo supporto logico nella fotografia, in sequenze di immagini. Iniziò il suo lavoro sul corpo negli anni Settanta, con azioni cruente (Action sentimentale, 1973; Psyche, 1975), che rimandavano a uno stato infantile come prima rivelazione della fisicità, per poi arrivare gradualmente alla riproposta dell'amore come mezzo di unione e collegamento. Negli ultimi anni passò a una trascrizione pittorica e disegnativa delle proprie azioni teatrali (Le Martyre de St. Sébastien d'après une posture d'une peinture de Memling, partition pour un corp, 1985

L’esperienza di Gina Pane è stata ed è un riferimento sia per il lavoro sul corpo, sia per la sua straordinaria capacità di visualizzare le azioni, controllandole fin nei minimi dettagli donandosi interamente all’arte della visione. Caratteristica di Gina Pane è stata proprio l’assoluta consapevolezza della scelta operata, pur nel mutare dei periodi e delle scelte stilistiche. Lei non è mai rimasta vincolata al cliché dell’artista performer,ha dominato le arti plastiche con una lucidità completa, e nel suo lavoro le varie fasi che si sono alternate sono tutte strettamente legate da un’idea forte dell’insostituibilità della figura dell’artista-santo,da un antropocentrico che fa che fa dell’arte uno strumento di conoscenza e di comunicazione tra gli esseri umani. Questa è stata la sua utopia.
Per comprendere a fondo il percorso compiuto da Gina Pane ritengo sia molto interessante rifarsi alla mostra a lei dedicata, che il Comune di Reggio Emilia, ha organizzato nell’ambito del Progetto Novecento, a cura di Valerio Dehò.
La mostra fu allestita nei Chiostri di San Domenico (in Reggio Emilia) dal 30 ottobre 1998 al 17 gennaio 1999. Non a caso la mostra affronta gli inizi concettuali con un’opera enigmatica come Dessin verrouillé (1968). Siamo all’interno di un’arte dichiarativa, l’artista invita il pubblico a fidarsi di quello che afferma, l’opera è nascosta, invisibile, ma esiste. L’artista già inserisce il problema della variabile temporale che aggredisce l’opera e quando il ferro sarà corroso, soltanto allora potrà rivelarsi il disegno nascosto.
Nello stesso anno Pierres déplacées segna con Terre protégée il superamento della logica dell’oggetto aprendo il lavoro verso l’ambiente. La tematica ambientalista viene posta in primo piano. Dall’intervento minimale delle pietre spostate dal loro luogo d’ombra verso uno spazio solare, alle 120 piastre di legno marcate a fuoco che recano altrettanti sacchetti pieni di semi di fiori e frutti, si tratta di uno spostamento dell’interesse artistico. L’ambiente non viene visto come un luogo di eventi, come un palcoscenico, ma l’artista stabilisce un rapporto semplice tra sé e la natura, un rapporto che è di protezione e di responsabilità. La terra diventa il luogo da difendere e con cui comunicare affinché le stesse basi psicologiche e culturali dell’uomo vengano preservate.
Significativa è l’installazione del 1968 intitolata La peche endeuilée, che ha la sua origine in un fatto di cronaca accaduto il 1° marzo 1954: ventitrè uomini dell’equipaggio di un peschereccio giapponese al largo delle isole Marshall nel Pacifico furono investite dal fall out di un esperimento nucleare americano. L’esplosione di Bikini è rimasta nella memoria di tutto l’Occidente e Gina Pane realizzò un’opera che può essere considerata a metà tra il monumento alla memoria degli anonimi pescatori vittime delle radiazioni nucleari e una sorta di cimitero dedicato alla follia della corsa agli armamenti. L’installazione, di oltre 50 metri quadri, è un monito permanente a quante persone innocenti sono morte e moriranno a causa del militarismo e della ricerca scientifica finalizzata solo a interessi economici.
Un’ opera poetica come Stripe rake (1969) si collega al desiderio dell’artista di proporre un modo di vita più lento e meditativo, in stretta connessione con la natura. La violenza della bomba atomica, le vite spezzate di pacifici pescatori, il rastrello che traccia solchi semplici e antichi, la foto di Gina in Sitation idéale. Ecos (1969) come linea di congiunzione fra cielo e terra, opere e frammenti di un impegno dell’arte per cambiare la vita. Mon corps. Pierres de corps (1970) unisce il corpo dell’artista alla durezza della pietra, ne fa una sostanza nuova, fresca, ma assolutamente reale. Gina Pane è sempre stata unica nel mettere insieme i valori della poesia con la durezza delle sue opre. Probabilmente la vera poesia è crudele.
Si può dire che già tra le opere della fine degli anni Sessanta alcuni temi caratteristici dell’opera dell’artista siano presenti. Il corpo è parte di un tutto che l’artista non può cambiare, non deve accettarlo così com’è. Quindi i due imperativi di rispettare la Natura, e di conseguenza l’Uomo, e di richiedere all’arte un contributo al cambiamento della sensibilità e del mondo sono presenti nelle prime opere fotografiche e nelle prime installazioni. Molta importanza simbolica hanno i semi, l’origine della vita, che l’artista in Semences de graines de chanvre. Ury (1970) riprende come tracce di un percorso indefinito. I semi sono l’equivalente biologico delle pietre di Marquage de latrace du passage du torrent de l’Albergan (1968): l’idea di testimonianza e la rilettura del passaggio tra potenza e atto sono contenuti allo stesso livello simbolico. L’intellettualità di Gina Pane ha sempre cercato di fissarsi su temi comprensibili, di avvicinarsi con l’arte alle strutture primarie dell’uomo.
Da qui si comprende come il tema del viaggio resti un luogo fondamentale in ogni avvio di conoscenza. Non si tratta semplicemente di spostarsi fisicamente, quanto di ridiscutere le abitudini mentali. Questo comporta un sacrificio, la rinuncia ad un’identità già fissata e l’annuncio di un’identità nuova. L’artista in Continuation d’un chemin de bois. Ury (1970), in una giornata di duro lavoro traccia una linea di percorso che non finisce e non ha inizio, è memoria di ciò che è stato. L’attività dell’artista porta soggettività nel mondo oggettivo della natura, creando eventi unici e irripetibili.
Se nelle Pierres déplacées. Ecos (Eure), 1968, prevaleva l’interesse a modificare e migliorare una situazione naturale, a catturare l’azione del caldo e della luce, altri lavori come Table de lecture. Ecos, dell’anno seguente, sono già costruiti sull’organizzazione dello spazio dell’azione. I contenuti restano quelli del legame con la terra, della riscoperta del nutrimento originario, anche della violenza sul paesaggio.
La Terra come corpo della Natura ferita diventa il punto di partenza per le serie delle blessures che dominano gli anni Settanta e diventano il lavoro più conosciuto e universalmente noto di Gina Pane. Un’opera particolarmente significativa è la sequenza di foto denominata Flessure théorique, realizzata nel 1970. L’artista nella prima foto taglia con la lametta da barba un foglio bianco di carta, sembra quasi che scriva una scrittura invisibile. Nella seconda foto la carta sgualcita viene appoggiata sulla nuda terra e la lametta la incide fino a far apparire il terreno su cui è appoggiata. Nella terra l’artista si incide direttamente un polpastrello. Questa opera non solo è fondamentale in quanto il tema della ferita viene esplicitato e collegato nella sequenza carta-Terra-corpo-umano, ma è anche la prima occasione in cui l’artista mostra l’intenzione di compiere su se stessa degli atti dolorosi. La lucidità di questo lavoro dimostra anche quanto Gina Pane avesse il controllo e la coscienza del proprio lavoro. L’organizzazione delle azioni e della loro rappresentazione visiva è totale.
Nella celebre Azione sentimentale, del 1973, l’elemento autoaggressivo (mai ovviamente fine a se stesso), è più esplicito, ed è soltanto il corpo flagellato dell’artista che si offre. Alcuni elementi ricordano direttamente il tema del martirio, come la scala che l’artista deve salire attraverso il dolore dello spirito. Il suo sacrificio equivale a quello dei santi. L’artista è vestita di bianco in quanto segno di purezza, gli occhiali scuri la separano dall’ambiente che comunque domina con la sua presenza.
Le actions di Gina Pane sono degli esercizi spirituali alla manierati Sant’Ignazio di Loyola. E’ il tema del corpo, in lavori come Mon corps. Pierres de corps (1970), in cui l’artista diventa parte di un paesaggio duro e desolante, si fa pietra tra le pietre, diventa qualcosa di meno mistico e silenzioso. Nelle azioni e nelle performance è sempre l’artista a determinare i tempi della visione, mentre davanti a un quadro l’intervento dello spettatore, pur guidato dall’artista, è certamente più libero. Ma l’importante è il controllo di ogni fase di costituzione dell’opera, anche e soprattutto nelle sequenze che poi vengono presentate in fotografia o in video. Spesso, come nel caso di Gina Pane, l’artista riesce a creare dall’azione un’opera autonoma, con propri contenuti e un proprio linguaggio.
La stessa Gina Pane aveva chiarito questo problema: “Non è facile occuparsi del corpo come linguaggio, almeno per colui che si rende conto che esso possiede una struttura linguistica. Il messaggio corporale possiede una massa e un peso tali che provare a decifrarlo provoca difficoltà e allarmi.”
Per questo l’artista non ha mai lasciato alcuna casualità alla presentazione dei lavori: per non permettere che il peso del linguaggio del corpo prendesse il sopravvento su quanto lei aveva intenzione di esprimere. La sua consapevolezza si è dimostrata vincente, e ha reso il suo lavoro degli anni Settanta un riferimento non solo pratico ma anche estetico.
Alla fine del periodo delle azioni, due anni dopo che all’artista fu affidata la crazione di un atelier di performance presso il Centre Georges Pompidou a Parigi, ha inizio il ciclo delle partitions, con cui prosegue e si amplia l’analisi del tema del corpo. Le partitions hanno per argomento spesso il tema dei santi martiri. In esse possiamo trovare amplificati diversi elementi che si trovano disseminati nelle serie di opere precedenti. Ma in più vi è anche la comparsa della storia dell’arte, della memoria dell’artista formatasi a guardare e riguardare i quadri classici più famosi, soprattutto quelli di santi e martiri.
In La chair ressuscitée (1988) i materiali si intrecciano per creare un quadro complesso. Le impronte dei corpi scheletrici che vengono fuori a sbalzo dai fogli di ferro, di latta e di rame danno alle lastre sarcofago un impianto tombale esplicito. Dal corpo del santo si passa al corpo qualunque. Ma in realtà, in Gina Pane, le tracce dei corpi della morte e della sofferenza annunciano una vittoria, non una sconfitta.
L’artista sapeva che i santi hanno sempre comunicato con il popolo attraverso il proprio corpo. Le stimmate, le flagellazioni, erano da un lato i sintomi di una santità manifesta, dall’altro la certezza empirica dell’esistenza del divino. In effetti la reliquia era, oltre che un affare economico, anche il linguaggio che tutti potevano comprendere. E’ il corpo che parla, non la Scrittura.
La priore des pauvres et le corps des Saints (1989/’90) costituisce l’ultima installazione creata da Gina Pane. Le nove vetrine, disposte a gruppi di tre, dedicate a san Sebastiano, san Francesco e san Lorenzo, sono dei loculi trasparenti in cui il corpo dei santi, la simbolizzazione del loro martirio e della loro scelta si accompagnano ai versi della Preghiera dei Santi. L’aspetto di sarcofagi è evidente. La materia liberata si affida ai simboli, ma nello stesso tempo trovano evidenza proprio le icone della scelta, dell’impegno. La simbologia dei colori si accompagna agli elementi della vita dei santi: il rosso di san Sebastiano sta per il corpo grondante di sangue dopo essere stato trafitto dalle frecce; il marrone di san Francesco ricorda il saio, il voto di povertà, la spogliazione da ogni orpello inutile; l’azzurro è invece il colore di san Lorenzo, quasi a richiamare non solo il mantello del santo, ma anche l’elemento aereo, spirituale della sua ascesi corporale. “Acqua, miele, sale”, le parole della preghiera dei poveri, sono l’invocazione dei bisogni semplici. Perché, nonostante l’apparenza funebre, dalle vetrine dei santi promana un’energia vitale che è la sintesi dell’energia vitale di Gina Pane. Il lutto viene vissuto sempre come una denuncia. In effetti serve soltanto per raggiungere uno stato di suprema consapevolezza e di impegno. La morte è un prezzo da pagare per dare la vita e la conoscenza agli altri. E’ un gesto d’amore.
Il lavoro di Gina Pane rivela una coerenza straordinaria, una lucidità visionaria che si apre alla poesia pur rimanendo all’interno della tradizione delle arti visive. Oggi potremmo anche parlare di multimedialità, ma rischieremmo di fare delle confusioni. Preferiamo affermare che Gina Pane ha saputo esprimere, attraverso l’interazione di linguaggi artistici diversi, che la verità richiede semplicità di spirito e assoluta fedeltà di ricerca. Anche le sue opere più concettuali hanno sempre conservato il fascino dell’enigma e la forza di un abbraccio. Distaccarsi dal suo lavoro dopo averlo conosciuto e amato, fa sentire un vuoto che queste parole non riusciranno a colmare.

opere


foto di Gina Pane

Gina Pane, Terre protégée 2, Pinerolo (Italie), 1970

Gilbert, George e Gina

Marina Abramovic performing Gina Pane's The Conditioning (1973)

Tutte le mostre di: Gina Pane

Copyright © Centro Arte 1999-2000
 

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