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Prima guerra mondiale: quella che doveva essere nelle posizioni dei belligeranti una rapida guerra di movimento qualche resa dei conti divenne una lunga guerra di posizione e di massiccio impiego di potenziali soprattutto economici oltre che umani. Sfumata infatti la possibilità di veloci conclusioni, le parti in lotta cercarono di distruggere quanto più possibile le forze avversarie e di privarle del mezzi necessari continuare la battaglia. La lotta, soprattutto da parte tedesca fu senza quartiere, ma il blocco di ogni movimento di merci e viveri degli avversari da parte degli Alleati fu altrettanto duro, così che nei Paesi germanici finì per mancare tutto, dal cibo agli uomini, mentre i prezzi raddoppiavano e le autorità monetarie, per sostenere gli indebitamenti, stampavano banconote che perdevano sempre più valore. Le sorti della guerra furono decise dall’insieme degli eventi a favore degli alleati per i quali fu determinante il sostegno di un maggiore potenziale economico e della possibilità di attingere risorse da tutto il mondo, grazie al loro dominio dei mari.
Le conseguenze della guerra andarono anche oltre le perdite di vite umane e le immense distruzioni di risorse.
Già nel 1917 l’esasperazione per la durata del conflitto, la scarsità di viveri e le misere condizioni del popolo, avevano causato disordini in Russia, quindi la rivolta dell’esercito l'abdicazione dello zar Nicola II e la Rivoluzione di Ottobre che portò al governo i principi del comunismo anticapitalistico propugnati dalla teoria di Marx e diffusi da Lenin.
Seguì la guerra civile tra riformisti e rivoluzionari conclusa con la vittoria di questi ultimi e la nascita dell’Unione Sovietica che tenderà inizialmente alla rivoluzione mondiale
comunista e poi si assestò nella dittatura di Stalin esercitata in nome delle masse proletarie.
Alla fine della guerra caddero molti altri sistemi di governo in nome della democrazia, ma i popoli, pur se andavano così rafforzando la propria coscienza nazionale, non erano ancora politicamente maturi per un cambiamento e, ancora frastornati dall’esito del conflitto, apparivano suscettibili ai richiami della demagogia che si farà sempre più pressante in ltalia e in Germania.
Si acuirono i contrasti tra la classe dei lavoratori e le imprese e si verificarono scioperi e agitazioni di piazza, nel contesto di generali difficoltà causate dall’esaurimento di talune risorse, dallo sconvolgimento del normale flusso di merci e pagamenti tradizionali, dallo smantellamento di ogni apparato di produzione bellica con riconversione a chiusura di fabbriche e conseguente aumento della disoccupazione anche a causa dei militari ritornati ad essere civili senza lavoro. La piccola borghesia cercò di opporsi all’avanzata del proletariato favorendo la nascita e l’affermazione di movimenti forti e paramilitari che avranno buon gioco delle fazioni parlamentari che formavano precari governi in molti stati europei (1922, "Marcia su Roma" di Mussolini; 1933, ascesa al potere di Hitler).
Tutti i Paesi ex belligeranti erano impegnati nelle politiche di ricostruzione mediante una programmazione con intervento dello Stato che protesse arginare i problemi più gravi come la disoccupazione, la penuria di determinati beni che non si erano prodotti durante la guerra o l’eccedenza di altri che si erano prodotti in grandi quantità ormai non più necessarie. In Germania la situazione era pesantissima sia per le distruzioni subite che per le forti condizioni che i vincitori dettarono come riparazioni di guerra; sia infine per un’inflazione senza precedenti che colpì il marco di cui venivano stampate quantità enormi per sopperire alle spese. Siccome mentre una buona parte delle riparazioni di guerra doveva essere effettuata mediante consegna di merci (carbone, acciaio, ecc.), queste ultime, arrivando gratuitamente nei Paesi vincitori, finirono per danneggiare le produzioni interne o le esportazioni, attraverso una sorta di concorrenza sleale condotta dagli stessi governi. Molti Paesi extraeuropei neutrali aveva no in tempo di guerra sviluppato proprie produzioni di merci che prima importavano dall’Europa e che ora quest’ultima non poteva pertanto più esportare.
Gli Stati Uniti, da paese importatore, erano divenuti paese esportatore avendo aumentato notevolmente la loro capacità produttiva per sostenere gli alleati. Di conseguenza si formarono tendenze autarchiche versa l’autosufficienza e tendenze protezionistiche in difesa, per quanta possibile, delle economie nazionali in difficoltà.
Mentre l’agricoltura soffriva una crisi di bassi profitti, la superattività industriale in fase di ricostruzione degli anni Venti, dovuta anche ai progressi della tecnica e della scienza applicati all’industria (aerei, radio, macchine da ufficio, refrigerazione delle derrate, razionalizzazione e standardizzazione della produzione, ecc.), portô solo una prosperità apparente di breve durata e una superproduzione che stentô poi ad essere assorbita e fece arrestare nel ‘29 la progressione dell’ottimismo innescando il meccanismo della caduta libera della borsa e dei fallimenti a catena che danno la misura della crisi economica mondiale degli anni Trenta.
In tutte le nazioni si convenne che lo Stato doveva intervenire per fronteggiare la calamità e così avvenne. I rimedi andarono dalla svalutazione alla creazione di numerosi enti con funzioni di finanziamento di opere pubbliche e private nei settori più utili (in cui impiegare i disoccupati), alla rimilitarizzazione anch’essa con funzione di assorbimento dei disoccupati (Germania), alla riorganizzazione del sistema bancario (USA) e del sistema del prezzi, alla regolamentazione autoritaria dei rapporti di lavoro (divieto di scioperi e serrate), ai sussidi ai settori in grave pericolo (soprattutto l’agricoltura), alla programmazione economica, ma anche dal controllo del credito, alla contingentazione delle divise estere e all’imposizione di alte tariffe doganali che resero più difficoltoso il commercio internazionale e indirizzarono diversi Paesi all’autarchia, portando a nuove tensioni internazionali che non favorirono il risanamento economico e condussero invece agli esperimenti autoritari che presero particolarmente piede in Italia e in Germania incamminandosi verso Ia seconda guerra mondiale.
Le vicende del triste e immane olocausto della seconda guerra mondiale sono più che note, dall’invasione tedesca della Polonia alla caduta di Berlino sotto l’assalto degli alleati.
Anche in questo caso la distruzione del potenziale economica, oltre che militare, dell’Asse Germania-Italia Giappone fu determinante e le distruzioni CUI si trovarono di fronte tutti i Paesi europei nel dopoguerra furono immense. I vincitori però e segnatamente gli Stati Uniti non fecero l’errore di imporre gravissime condizioni e spese di riparazione ai vinti, ma anzi stabilirono un piano di aiuti (Piano Marshall) per rimettere in piedi le economie completamente dissestate e aiutarle nella ricostruzione in uno spirito di cooperazione internazionale in cui la contrapposizione veniva limitata (e ingigantita) tra I due grandi blocchi costituiti dall’America capitalista e dagli alleati occidentali da una parte e dall’Unione Sovietica comunista e i suoi stati satelliti dall’altra.
Fu così permessa e si avverò una rapida ripresa e una crescita economica senza precedenti in primo luogo proprio per Italia e Germania ma l‘Europa aveva ormai perso a favore di Stati Uniti e Urss il suo primato economico-politico e la sua funzione di guida a livello mondiale.
Mentre si aggravavano sempre più i rapporti tra i due grandi blocchi che giunsero alla "guerra fredda", ossia all’esasperazione della propaganda e delle alleanze reciprocamente contrarie, crebbe la cooperazione all’interno di esse attraverso organismi sovranazionali militari come la NATO e il Patto di Varsavia e commerciali come la CEE e il Comecon. A livello mondiale cominciò ad affermarsi, anche se con qualche difficoltà spesso dovuta al paralizzante diritto di veto nelle assemblee, l’ONU, ossia l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per la salvaguardia della pace.
Per quel che riguarda le economie trionfò ovunque la pianificazione e la programmazione statale, anche sotto la spinta di forti movimenti di sinistra con i quali le forze conservatrici dovettero venire a compromessi. Si procedette così a numerose nazionalizzazioni di industrie cruciali per il benessere comune come le ferrovie, l’energia elettrica, le telecomunicazioni.
Contemporaneamente la tecnologia fece passi da gigante e ne! mondo del lavoro entrò l’automazione e successivamente il computer, che trasformerà la società industriale del dopo guerra nella società post-industriale di fine millennio.


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