New dada nouveau realisme

 

New Dada Nouveau Realisme

Il movimento New Dada in America e il gruppo dei Nouveaux Realistes in Europa riprendono in parte negli anni Cinquanta l'atteggiamento mentale del Dada  che può essere così riassunto:
- rifiuto del concetto e della volontà di produzione dell'opera d'arte tradizionale;
- elevazione a valore estetico e artistico di oggetti trovati, (ready-made), dando così una sorta di "battesimo artistico" ad oggetti d'uso comune;
- predilezione  dell'uso di elementi derivati dalla comunicazione di massa, fotografie, ritagli, manifesti, ecc., rielaborate con montaggi o ricomposizioni.

In linea con tali principi il New Dada recupera l'uso dell'oggetto e dell'esperienza quotidiani rispetto alla prevalenza dell'uso della pittura e della scultura (persistente anche nell'informale europeo e nell'action painting americano).

 


Robert Rauschenberg


Jasper Johns

Il New Dada americano (il movimento ha protagonisti anche in Europa), con i suoi maggiori rappresentanti, Rauschenberg e Johns, rimane tuttavia profondamente legato all'opera e non ha la carica ironica e dissacratoria tipica del Dada; in tali artisti l'oggetto utilizzato nel quadro ha l'evidente oggettività della realtà viva, ma si trasforma sempre totalmente in pittura o scultura, anche se costituita da una combinazione di oggetti neutri o da simboli stereotipati.

 

Più svincolata da pittura e scultura è invece la versione italiana del New Dada con Piero Manzoni, la cui opera si avvicina più a Duchamp.

 


Piero Manzoni


Yves Klein

Mimmo Rotella


Marcel Duchamp

Anche il Nouveau Realisme è più vicino a Duchamp e al Dada; pone l'accento sul progetto mentale, sull'evento e sull'azione dell'artista, più che sull'opera, in un processo di appropriazione della realtà nelle sue coordinate spaziali e temporali che supera anche la sorta di feticismo insito nel ready made duchampiano.
In questo senso non è l'oggetto singolo per i Nouveau Realistes ad essere il reale in cui si concentra l'operazione artistica: è il mondo intero che diventa un teatro dell'arte.

 


Il gruppo nasce alla fine degli anni Cinquanta ad opera del critico Pierre Restany a Nizza e vi fanno parte, tra i maggiori,
Klein, Tinguely, Raysse, César, Spoerri, Villeglé, Christo, Rotella.

Il New Dada propone un intervento sulla realtà e sugli oggetti della civiltà contemporanea, dei quali  muta il valore e il senso precostituiti, avendo come obiettivo di arrivare con un'azione evidente e mirata alla coscienza del fruitore cui è destinato l'effetto di quel mutamento. L'oggetto assunto dagli artisti New Dada non è infatti inteso in senso duchampiano, decontestualizzato e elevato a dignità estetica, ma nella sua qualità oggettiva di elemento o rifiuto della civiltà contemporanea, oggetto che accompagna la vita quotidiana prima, durante e dopo l'uso, indistruttibile e inquinante, e come tale è incluso nell'opera di artisti come Rauschenberg e Johns.

 

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Robert Rauschenberg


Jasper Johns

 

Il New Dada di Robert Rauschenberg (1925 / "Letto", 1955; "Mercato nero", 1961; "Buffalo II", 1964; "Retroactive I", 1964) risente con evidenza degli echi dell'Action Painting, ma alla pittura sono mescolate cromie solo mentali come nell'opera "Small Rebus" del 1956, con la scala di colore applicata in piccoli ritagli di plastica e soprattutto sono assemblate immagini, riproduzioni e oggetti presi tali e quali dalla realtà quotidiana della comunicazione di massa e della vita metropolitana: immagini video, fotografie, cartoline, ritagli, si mescolano a larghe campiture e segni gestuali ponendosi al limite tra concettualismo e pop-art, di cui l'artista è inoltre considerato uno dei maggiori rappresentanti.

 

 

 

I suoi "combine-paintings" si oppongono così alla divisione gerarchica tra materiale artistico ed extrartistico, gettando un ponte verso la dimensione più pragmatica del mondo contemporaneo. Anche Jasper Johns (1930 / "Bandiera", 1955; "Three Flags", 1958; "Numeri colorati", 1959) abbandonando ogni reminiscenza di Action Painting declina il suo talento nella rappresentazione dei simboli propri della società contemporanea; nel caso della bandiera degli Stati Uniti, oggetto che, avendo perso nello stereotipo corrente la sua forza rappresentativa, egli recupera in modo nuovo fornendogli rinnovata identità. Lo stesso lavoro Johns compie su altre immagini banali e consuete di cui rivaluta il cliché visivo ormai privo di contenuto per eccessiva familiarità. La rappresentazione dell'oggetto però coincide in toto con la pura pittura; l'oggetto diviene, sulla tela, pittura nel contempo astratta e figurativa.

I Nouveaux Réalistes possono essere considerati il corrispondente europeo del New Dada americano; essi rifiutano però la pittura di cavalletto e pongono l'accento sempre più sulla funzione non tanto dell'opera, ma dell'azione dell'artista, non del prodotto cioè, ma del produrre, che tende a non essere più un fare ma un essere. L'opera tende a divenire sempre più una pura testimonianza fisica di tale atteggiamento e di tali processi operativi.

 


Armand Fernandez

Daniel Spoerri

Si apre così la via alla ricerca centrata esclusivamente sull'azione considerata completamente avulsa da qualsiasi contesto di produzione e agente solo nel rapporto stabilito durante il suo verificarsi con il pubblico. E' il segno di una via più diretta, a volte anche violenta, di stabilire un rapporto realmente efficace e comunicativo con il pubblico, anche attraverso l'azione polemica o provocatoria. Su questa linea è la sostituzione della pittura con la raccolta e presentazione di oggetti di consumo ordinario (piatti, posate, letti, ecc. ) che vengono sottoposti ad azione distruttiva simile a quella operata sui valori della società, oppure di raccolta e conservazione, opposta polemicamente a quella di vertiginoso consumo operato dalla società.

 

Sono le tematiche dell'assemblage di Arman, e Daniel Spoerri, del suo opposto dissemblage e del décollage di Mimmo Rotella.


Da un rapporto stretto con la materia e le possibilità di relazione esistenziale dell'artista con essa si è già passati così a tematiche che vedono il percorso dalla coscienza già compiuto e profilarsi l'atteggiamento di rifiuto e di scontro diretto con la realtà sociale che sarà tipico del fare arte successivo, delle tematiche pop, del nuovo realismo, del concettuale. Lo stadio finale di compressione delle carcasse di automobili e macchine di César; non è solo un momento di logica eliminazione del rifiuto ingombrante, ma simbolo della compressione dell'esistente operata in ogni momento dal sistema; lo scontro delle macchine come in Chamberlain, è uno dei momenti della verità, l'attimo in cui si realizza la potenzialità distruttiva delle macchine stesse; la costruzione di macchine inutili, ironicamente (e drammaticamente) imitanti il movimento di macchine funzionali è la pantomima dell'autogenerazione del bisogno e del consumo nella società contemporanea, come avviene nell'opera di
Jean Tinguely.

Il campanello d'allarme dell'istinto di conservazione di fronte all'incalzare della degradazione produttivo-distruttiva, spinge persino ad impacchettare con gesto drammaticamente protettivo, edifici, monumenti, montagne, così come l'artista bulgaro naturalizzato Christo (1935) che nello stesso momento rivela gli attriti che vengono a crearsi tra gli elementi artificiali e la natura costretta a riceverli, come nel caso in cui ricopre le scogliere di Dover o innalza il suoi "Muro di bidoni" nel '62, una struttura architettonica fatta di elementi di scarto. In proposito Pierre Restany scrive che "In un momento in cui l'architettura conta troppi ingegneri o uomini d'affari e non abbastanza poeti, Christo fa parte di questi artisti che assumono il rilancio immaginativo di questo campo".

 


Yves Klein

Yves Klein (1928-1962 / "Monocromi", 1946-58; "Antropometria - Sudario ANT-SU 2", 1961; Tableaux-Feu", 1961; "Ritratto -rilievo di Arman", 1962) si muove tra sperimentalismo e spiritualismo alla ricerca di valori assoluti e universali dell'arte e dell'esistenza. Molta parte della sua opera è dedicata allo studio del significato simbolico del colore nella sua dimensione fisica e immateriale, con una predilezione per il blu oltremare, che rappresenta per lui , come scrive Pierre Restany, "il supporto di intuizioni non racchiudibili in formule" e, nella sua vicinanza all'idea del cielo e dell'universo, il veicolo ideale di emozioni profonde a livello di intuizione e di comunicazione. Precedentemente al '56, anno della "rivelazione" del blu, alla fine degli anni Quaranta, Klein aveva realizzato oltre ad una sinfonia monotona costituita da un unico lungo suono seguito da un similare silenzio, i primi monocromi, che dovevano rappresentare lo strumento di individuazione di uno spazio di pensiero non occupato da una qualsiasi figurazione conchiusa, ma identificante nello stesso colore bianco un elemento catalizzatore dell'energia che può agire sui sensi di ognuno.

 



Studioso di filosofia orientale, Klein assume il vuoto, inteso non come assenza e negatività, ma nell'aspetto di elemento capace di generare dalla sua purezza le cose e nella sacralità in cui è considerato in Oriente, a componente della sua opera.

Una tendenza alla sintesi dell'aspirazione all'universale si ha in Klein nella successiva scelta dei colori del fuoco, blu, rosa e oro, per formare una trilogia espressiva di un'emozione pura capace di scaturire da un elemento fisico altamente simbolico.

Significativi di una volontà di costituire una traccia che ritenesse l'essenza non rappresentativa ma vitale di un evento sono le sue celebri "Anthropometries" o "pennelli" viventi costituiti da modelle nude cosparse di blu e fatte aderire alla carta che si impregna così del colore e della forma dei loro corpi vivi.

L'evento e la forma in cui il processo mentale di individuazione  di un avvenimento catartico capace di incidere sulla coscienza e di rinnovarla radicalmente, aprendo le nuove prospettive di comprensione, si hanno nelle diverse altre esperienze di Klein, che vanno dal tentativo di dipingere la pioggia di blu irrorandola di pigmento mentre cala al suolo, ai "ritratti rilievo" ricavati direttamente sul corpo dei soggetti attraverso calchi.

 


Piero Manzoni

In un linguaggio radicalizzato in modo assoluto come spazio mentale l'artista italiano Piero Manzoni  (1933-1963 / "Achromes", 1958-63; "Fiato d'artista", 1960;  "Merda d'artista", 1961; "Linea di lunghezza infinita", 1963) attua una tabula rasa dei referenti delle implicazioni cromatiche e materiche attraverso l'azzeramento, il monocromo bianco,    anzi l' " achrome", l'assenza del colore ottenuto con stesure di anonima biacca su teli di stoffa o con garze, cotone, lana, di vetro e altri materiali contraddistinti dall'assenza del colore e di una forma qualificabile espressivamente con termini di aderenza a fattori di psicologia individuale.

L'oggetto d'arte comincia ad avere conseguentemente una sua esistenza indipendente, una sua fisicità autonoma e assoluta.

 

 

I termini cardine della creazione, lo spazio e il tempo, vengono ridotti da Manzoni alla loro entità assoluta attraverso una contemporanea esaltazione concettuale, data da un lato dall'eliminazione di qualsiasi implicazione esterna all'entità presa in considerazione, e dall'altro dalla riduzione ai termini più crudi della stessa entità:  il tempo è quello stesso dell'esecuzione dell'opera come può essere anche il tempo reale dei giorni che trascorrono rappresentati dai fogli del calendario; lo spazio diventa una linea misurabile da zero a più o meno infinito.

Dalla superficie che non ha bisogno di null'altro che di sé per esistere come oggetto d'arte (senza alcuna necessità di riscatto da oggetto quotidiano a oggetto museale, come è il caso della tematica dell'object trouvé), Manzoni passa quindi a considerare come oggetto d'arte  ciò che l'esistente produce e lo stesso esistente. Lo specifico artistico  si sposta così dal fare opere d'arte all'essere delle stesse opere e dell'artista. Da cui, come è arte l'oggetto, può essere arte anche il soggetto. Giunge così alla individuazione del proprio essere e di quello degli altri come momento d'arte. Il tempo dell'arte, della produzione artistica, per lui non può essere riempito da null'altro di più vero e assoluto del proprio esistere e dell'esistere. Il tempo dell'arte coincide con il proprio tempo e con ciò che in tale tempo si fa e produce: dal respirare al mangiare, al defecare.

Manzoni produce così tra il '59 e il '61 sculture d'aria, "fiato d'artista", uova autenticate (e mangiate dal pubblico), "merda d'artista" prodotta e inscatolata poi come una qualsiasi merce che acquista valore secondo il prezzo di mercato, che egli volutamente fa in questo caso coincidere con quello dell'oro.

Il processo finisce per coinvolgere dunque l'uomo e tutta quanta la realtà sino alle persone che salendo su un piedistallo "magico" divengono opere d'arte e al mondo intero che idealmente poggiato su una base rovesciata posta da Manzoni ad Herning, in Danimarca, diviene una grande e totale opera d'arte. "Non c'è niente da fare", dichiara Manzoni, "c'è solo da essere, solo da vivere". Nelle operazioni che porta avanti è l'artista che conferisce, con lucida ironia tutta mentale, la condizione di artisticità all'oggetto.

 


Lucio Fontana


Lucio Fontana

Più che evidente è il debito che a Manzoni deve tributare tutta l'arte dei decenni successivi e in particolare il comportamentismo e la Body Art. La sua opera, insieme con quella di Fontana e di Klein, rappresenta perfettamente il mutamento culturale avvenuto a cavallo degli anni '50 e '60 non solo nel campo delle arti ma anche in quello più generale delle tendenze sociali e del costume. Si diffonde infatti in questo momento una serie di atteggiamenti tendenti a sovvertire completamente i principi di individuazione mentale della forma acquisiti dalla tradizione.
 

 

 

Ne scaturisce un fermento vitale che ritiene di potersi realizzare in ogni possibile direzione del pensiero con una predilezione per il radicalismo assoluto e la provocazione guidata da profonde e spesso poetiche convinzioni. Da Fontana che può essere considerato il precursore assoluto di tale tendenza, con il suo uso della tela come realtà spaziale e non come superficie da ricoprire con una "rappresentazione" del mondo, a Klein con il suo anelito all'universalità spirituale, a Manzoni con la sua dichiarata e programmatica antirappresentazione, concretata essenzialmente nell'idea "dalla quale può scaturire la scintilla mentale (e l'intuizione poetica) di un rapporto fra l'artista e il mondo" come scrive Giuliano Briganti, si giunge lungo un processo progressivo e coerente anche se quanto mai diversificato in molteplici esperienze alle manifestazioni dell'arte concettuale e "povera".

Una coerenza fenomenologica che può comprendere la massima diversità delle singole storie culturali degli artisti  impegnati in un costante vagabondaggio del pensiero tra i confini della storia e della storia dell'arte.

 

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