L'espansione

 

L’espansione

La straordinaria espansione del potere diretto o dell’influenza europea sui paesi extraeuropei che va sotto il nome di imperialismo. L’affermarsi su scala internazionale del liberismo economico, una eccezionale crescita economica aiutata dall’applicazione in grande scala delle grandi invenzioni e scoperte scientifiche come l’elettricità, l’uso del vapore, il motore a scoppio, il telefono; una relativa pace internazionale basata sulla divisione della stessa Europa in stati sorretti da uguali ideali e modi di vita poggianti su una concezione essenzialmente materialistica e “progressiva” del destino e dei compiti delle nazioni; sono gli elementi che danno agli europei di fine ‘800 la coscienza di essere rappresentanti di una civiltà frutto ultimo e giusto di secoli di progresso. Una concezione esclusiva quindi, che ritiene appartenenti alla civiltà i paesi e i popoli che condividono le stesse concezioni, gli stessi usi, lo stesso tenore di vita, gli stessi ideali, e quelli che non li condividono appartenenti invece a zone del mondo rimaste indietro nel corso della storia.
La divisione del mondo in zone di civiltà progredita e di arretratezza non solo economica ma più in generale civile, ha riscontri oggettivi su dati quali il tasso di mortalità, quello di mortalità infantile, l’alfabetizzazione, la produttività del lavoro, il tenore di vita concretamente espresso dalle condizioni del vitto, dell’alloggio, del vestiario, dell’organizzazione sanitaria, della sicurezza personale e dell’ordine collettivo. A questo si unisce nell’Europa di fine ‘800 una coscienza morale di derivazione cristiana che coniuga benessere e ideale umano di giustizia, libertà, democrazia.
A questa Europa degli alti indici di vita si unisce la parte del nord degli Stati Uniti d’America  e si contrappongono le zone depresse
, meno industrializzate e net contempo meno civili delta stessa Europa, comprendenti gran parte di Irlanda, Spagna, Italia e l’Europa dell’Est, gli Stati Uniti del sud e tutte le aree africane e asiatiche, escluso il Giappone.
Una delle cause della supremazia europea, non solo di fine 800, ma anche dei secoli precedenti a partire dalle grandi conquiste geografiche di fine ‘400 è l’aumento demografico del vecchio continente e in particolar modo della sua parte più ricca, nettamente superiore a quello delle restanti aree del pianeta, alcune delle quali in calo (ad esempio l’Africa, a causa delle deportazioni di schiavi e delle guerre tra tribù indigene per il rifornimento degli stessi schiavi agli europei).
La crescita della popolazione europea è dovuta più alla diminuzione della mortalità che ad un aumento della natalità, diminuzione dovuta a sua volta alle migliorate condizioni della sanità che porta alla scomparsa di alcune malattie epidemiche; alla rivoluzione agricola rappresentata dall’abbandono del maggese (sistema di coltura con alternarsi di anni di coltura ad anni di pascolo in cui il terreno non viene sfruttato per dar modo allo stesso di rigenerarsi) a favore delta coltura intensiva, che porta ad una minore dipendenza del l’approvvigionamento dalle condizioni atmosferiche; al miglioramento dei trasporti seguito alla scoperta e costruzione di nuovi mezzi di locomozione (in primo luogo la ferrovia, ma anche canali e strade) e scomparsa delle carestie locali per impossibilità di tempestivi rifornimenti di viveri; alle forti importazioni a buon mercato di derrate alimentari e altri generi di commercio dalle zone di influenza o di dominio europei d’oltreoceano; allo sviluppo dell’industria con conseguente possibilità di sussistenza basata sul commercio del suoi prodotti anche in terre e paesi lontani; infine, ma non ultimo per importanza la crescita è dovuta anche ad un periodo piuttosto lungo di stabilità interna negli stati nazionali avutosi con l’abbandono delle guerre civili e l’eliminazione del
brigantaggio delle bande di predoni che dal Seicento terrorizzavano gli agricoltori e le famiglie del piccoli agglomerati contadini e artigiani.
La diminuzione della natalità che inizia nell’800 parte quindi da una base demografica di tutto rispetto ed è dovuta a ragioni di costume e di civiltà anziché a cause esterne come guerre o calamità: le famiglie, una volta raggiunto uno stato di relativo benessere economico cominciano a pianificare il futuro e a controllare con vari metodi le nascite, a non desiderare cioè un gran numero di figli ai quali possa essere difficile assicurare un futuro tranquillo e un’istruzione che gravare sempre più sul bilancio familiare con l’istituzione dell’obbligatorietà del periodo scolare e il suo progressivo allungamento.
La diminuzione del tasso di natalità non compensa però quella del tasso di mortalità per cui si ha Ia risultante di una complessiva crescita demografica dovuta anche all’allungamento delta vita media.
La maggior parte delle persone che costituiscono tale aumento demografico si va stabilendo nelle città dove spera di trovare le occasioni di lavoro impossibili nella situazione statica delle campagne e dove nello stesso tempo contribuisce a far crescere Ia domanda di alloggi e merci di consumo, favorendone Ia produzione e costituendo una delle condizioni della crescita complessiva del grandi agglomerati urbani.
La vita urbana è diversa da quella della campagna non solo per le opportunità di lavoro, ma per costumi e tipo di legami interpersonali e con le istituzioni. La mobilità è il segno distintivo della città e da significa assenza di radici; casa e chiesa non costituiscono più punti principali di riferimento delle persone e con esse perdono di importanza le tradizioni e cresce invece l‘influenza delle novità e dell’informazione
che le fa circolare, ossia la stampa quotidiana e periodica e Ia nascita della cosiddetta opinione pubblica, mentre mancanza di solidarietà tra i membri della comunità urbana porta i più deboli, ossia I lavoratori, padroni delle sole braccia, alla coscienza di appartenere appunto a una classe di deboli e sfruttati, ad una solidarietà non sociale, m classe che si contrappone ben presto alla classe dei detentori di capitale con forme di resistenza o di lotta finalizzata ottenere il miglioramento delle condizioni spesso miserabili di esistenza.
Nascono così le prime forme di socialismo che sfoceranno poi nella divisione del mondo in due grandi blocchi composti: occidente (e Giappone) capitalista e oriente comunista.
Si gettano anche le premesse della diffusione del nazionalismo che porterà l’Europa alle guerre mondiali e alla pro disfatta: l’assenza di radici profonde negli abitanti delle città, infatti, porta al riconoscimento della sola massima istituzione che li tiene uniti e l’unica in cui si identificano, ossia lo Stato.
La più grande migrazione di genti della storia non risale tempi antichi degli spostamenti biblici o di popolazioni no di o guerriere, ma si ha tra Ia seconda metà dell’Ottocento Ia prima metà del Novecento, in cui ben sessanta milioni persone si spostano dall’Europa principalmente verso gli Stati Uniti e in misura minore nella Russia asiatica, Canada, nell’America del Sud, in Sud Africa, in Australia e Nuova Zelanda.
Facilita tale straordinario flusso migratorio la mutata condizione del trasporti, più facili e meno costosi, a partire dall’evento delle navi a vapore e della ferrovia, che rendono possibili ampi spostamenti tra continenti e all’interno dei territori nei quali gli immigrati giungono. Altra condizione è il più vasto tenore di vita di molti europei che possono affrontare in numero sempre maggiore i costi di un viaggio portando con se anche capitali piccoli o grandi da impiegare nei nuovi paesi.
E’ significativo in tal senso che il flusso migratorio ebbe i suoi massimi valori in coincidenza con i periodi di maggiore prosperità generale nell’Europa e non come si potrebbe essere indotti a credere con quelli più difficili da cui cercare scampo con la fuga o l’avventura in altri luoghi. Alla motivazione data la capacità economica di intraprendere un viaggio e una nuova vita (migliore) altrove si deve accostare però la necessità, ossia un cospicuo numero di casi di vere fughe per motivi politici o giudiziari, o per miseria e fame.
Altra condizione primaria della grande migrazione è il liberismo economico in atto. In linea con tale dottrina politica anche lavoratori specializzati sono affrancati dall’obbligo di rimanere nel proprio paese e soprattutto i governi europei permettono agli emigranti di allontanarsi dal paese di origine portando con se i loro risparmi. Con lungimiranza, in quanto la massa di emigrati va costituendo in ogni parte del mondo e soprattutto negli Stati Uniti una serie di comunità di stile europeo che in piena indipendenza rispetto al luogo origine o produce per esso materie prime, trae da esso i capitali anche a prestito, compra da esso i prodotti industriali non fabbricati in loco e quindi contribuisce non poco allo stesso sostentamento dell’Europa diffondendo allo stesso tempo nel mondo il suo sistema economico e sociale.
Solo quando l’entità del flusso migratorio diventa tale che per i lavoratori già stabiliti nel luogo ospite si configura una minaccia (arrivo di forza lavoro disposta a prestarsi anche a basso costo) iniziano forme di protezionismo volte a frenarlo, in base anche a preferenze di ordine etnico, bloccando o contingentando cioè gli arrivi da paesi di nazionalità diversa da quella dei ceppi originari del luogo o di maggior espatrio di forza lavoro, ossia dai paesi da cui vengono troppi lavoratori
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