Figure isolate

 

FIGURE ISOLATE

Nel generale infuriare di idee canalizzate attraverso dichiarazioni, programmi e manifesti caratterizzanti le avanguardie storiche e le loro manifestazioni epigone, nonché le successive querelle tra realisti e astrattisti, alcune figure individuali, pur coinvolte a tratti nelle passioni teoretiche o ideologiche, ma più spesso rimanendo decisamente indietro rispetto al proseguire della storia dell'arte, operano in condizione di sostanziale solitudine divenuta man mano isolamento, anche se totalmente partecipato degli avvenimenti culturali internazionali coevi.

L'assenza di solidarietà culturale è la caratteristica che distingue i grandi "isolati" del primo Novecento e i contemporanei rappresentanti delle avanguardie dette "storiche". Certamente un fatto caratteriale, o dovuto alle circostanze e vicissitudini o avventure personali; ma anche un indice di forza, il segno di una consapevolezza di appartenere ad un destino indifferente alla presenza o all'assenza di compagnie di qualsiasi pregio, del coraggio di intraprendere una strada senza appoggi, a volte senza riferimenti, con qualche luce nel passato delle proprie affezioni e un orizzonte assoluto da raggiungere nel presente.

 

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Amedeo Modigliani

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Amedeo Modigliani

A monte di tutti c'è ovviamente, oltre al genio multiforme di Picasso, Amedeo Modigliani (1884-1920), "artista maledetto", simbolo dell'avventura bohèmienne e del destino tragico del genio incompreso.
Modigliani giunge a Parigi nel 1906, anno in cui Matisse espone "La joie de vivre" al Salon des Indépendants, e comincia ad appassionarsi all'arte africana.

Egli non è solo un italiano che vive e dipinge a Parigi, allora centro dell'avanguardia occidentale, ma anche un fabbricante di immagini ebreo, così come ama presentarsi nella capitale francese, ispirandosi, non avendo a disposizione modelli visivi ebraici, all'iconografia cristiana di santi e madonne.
 

 

 

Modigliani è un vero cosmopolita e ciò influisce notevolmente sulla sua formazione culturale; egli passa da una cultura all'altra con estrema disinvoltura convincendosi del fatto di essere al crocevia tra due epoche e quindi di non dover lasciare disperdere il passato.

Educato nello stile austero dei macchiaioli, avverte la necessità di evitare il virtuosismo tecnico, a cui sono pervenuti artisti italiani del primo decennio del secolo, quali Giulio Aristide Sartorio e Galileo Chini, per poter invece giungere alla verità e in questo è aiutato soprattutto dall'avanguardia  parigina e dall'interesse per l'arte primitiva a cui l'artista si avvicina specialmente nel 1908, quando vede "Il bacio" di
Brancusi.

L'attività di Modigliani pittore e scultore è coerente al punto tale da individuarvi con difficoltà i momenti di crisi, fatta eccezione per i dipinti divisionisti del 1914 che rivelano un periodo in cui l'artista probabilmente sperimenta una varietà di tecniche con cui ha poca dimestichezza.

 


Constantin Brancusi

Pablo Picasso

Andre Derain

 

E' il 1915, invece, a determinare una svolta decisiva nella sua attività; è l'anno in cui stringe amicizia con Picasso, finita poi nello stesso anno a causa dei due rispettivi approcci all'arte marcatamente diversi; l'artista spagnolo sperimenta stili diversi e passa con disinvoltura dall'uno all'altro, mentre Modigliani persegue i propri obiettivi con univoca perseveranza. 

 

 

Egli fu comunque debitore a Picasso, come testimoniano i disegni per una "Cariatide", ispirati apertamente dalle "Coiffeurs", studi di donne che si pettinano che l'artista spagnolo fece nel 1906. Dopo la rottura con Picasso, Modigliani dipinge la celebre serie dei nudi che per l'epoca rappresentano un'audace provocazione sociale: completi di maquillage e chignon questi nudi sono donne vive, presenti, che deliberatamente sollevano la gamba destra per ruotare l'incavo della coscia; ma nonostante ciò e i gesti indiscreti delle mani, le donne di Modigliani non sono delle prostitute, soggetti preferiti  a quei tempi per immagini erotiche o pornografiche. In un'opera come "Nu étendu aux bras levés" del 1917 il contorno netto conferisce alla figura una tensione controllata e comunica sensazioni di carni vive e sode, lontane da ogni lascivo abbandono da boudoir.

Negli ultimi due anni della sua vita, segnati da un rapido deperimento della salute, Modigliani dipinge opere superbe, cominciando ad evocare la magica presenza delle sue figure senza ricorrere al realismo, ma avvalendosi sempre più della stilizzazione.

In Italia il valore di questo artista viene riconosciuto piuttosto tardi e in maniera definitiva dalla retrospettiva alla Biennale di Venezia del 1930, che fa conoscere al grande pubblico la sua opera e lo fa amare soprattutto dagli intellettuali antifascisti che si ribellano alla vuota retorica della vita culturale sotto il regime, anche se in definitiva Modigliani avrà scarsa influenza sull'evoluzione artistica del suo paese, ad eccezione forse di Arturo Martini, del quale numerose opere si affiancano allo stile di Modigliani nell'adesione all'arcaico, correggendo notevolmente le aspirazioni al monumentale del gruppo di "Novecento" di cui Martini fa parte.

 

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Giorgio Morandi


Paul Cézanne

Un altro grande artista del '900 difficilmente collocabile non solo in un movimento, ma anche semplicemente in un'area culturale riconducibile ad uno dei tanti "issimi" del secolo Giorgio Morandi (1890-1964) che, pur sempre attento al dibattito culturale europeo (più vicino al cubismo francese che al futurismo italiano), attraversa con fare del tutto personale anche l'esperienza  della Metafisica.

 

 

Il primo riferimento artistico di Morandi è Cézanne, di cui vede  alcune opere riprodotte nel 1908. Mentre studia i grandi del passato si avvicina anche all'opera di Picasso e Derain.
Nel 1914 entra in contatto con i futuristi, interessandosi alla loro poetica e prendendo parte alle serate del gruppo.

La sua attenzione è ben presto però distolta dai cubisti francesi, anch'essi debitori di Cezanne.

Tra il 1918 e 1919 si colloca la sua esperienza metafisica, a contatto con
de Chirico e Carrà.

Le sue opere metafisiche sono nature morte con oggetti enigmatici, misteriosi.

 

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Giorgio de Chirico
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Carlo Carrà

 

Il suo avvicinamento alla metafisica cresce attraverso l'interesse che suscitano in lui oggetti come i manichini da sartoria che, seppure riconducibili a sembianze umane, a lui appaiono come elementi da essere inseriti in nature morte per creare un senso di eterno e immutabile, attraverso una calibrata distribuzione dello spazio; tema quest'ultimo caro a Morandi per il fascino esercitato su di lui dalla composizione rinascimentale.

 


Nel 1920 tuttavia l'esperienza metafisica è per lui già conclusa ed egli si rivolge nuovamente alle nature morte tradizionali, in cui emergono suggestioni di luce che in alcune opere rimandano al chiaroscuro di
Caravaggio e in altre, al contrario, si fanno memori della luce solare dei dipinti di Piero della Francesca, due degli artisti che ha avuto modo di studiare a Roma l'anno precedente.

In questo periodo Morandi passa dalle atmosfere metafisiche al recupero della corporeità e della spazialità degli oggetti, benché de Chirico parli di lui ancora come di un artista partecipe "... al grande lirismo creato dall'ultima profonda arte europea: la metafisica degli oggetti più comuni. Di quegli oggetti che l'abitudine ci ha resi tanto familiari che noi ... spesso guardiamo con l'occhio dell'uomo che guarda e non sa".

 


Caravaggio

Piero della Francesca

Nel '22-25 realizza una serie di paesaggi in cui si ravvisa l'atmosfera delle opere di Corot. Negli anni successivi la sua pittura procede senza altre distrazioni verso la sintesi, l'equilibrio e la purezza dell'immagine in direzione di una sorta di astrazione essenziale del dato di realtà che viene così totalmente trasceso.

L'opera di
Morandi è riempita da una teoria infinita di brocche e bottiglie, caffettiere e vasi in cui essenziale infatti non è il soggetto, ma la luce e lo spazio.

 

L'ossessione caparbia che fu di Cezanne viene qui depurata ed esercitata con lenta, misurata, artigianale intenzione e sicurezza. La linea tremula del colore che disegna senza tracciare contorni i suoi oggetti afferma la certezza assoluta, la completezza ultima, stabile per l'eterno in quanto derivata da una tabula rasa della coscienza che tende impudentemente ad assegnare all'arte una sorta di capacità ricreatrice divina.

La ricreazione della realtà nella coscienza operata dal maestro di Aix-en-Provence diviene in Morandi creazione dal nulla, dal caos primordiale e originario dello spazio. Per Morandi la quantità non è ricchezza o povertà, abbondanza o carenza, ma misura: egli va all'origine dell'invenzione dei numeri e della geometria, espressioni in principio non della scienza, ma della filosofia. Gli oggetti delle sue nature morte sono quotidiani, ma non c'è nulla di utensile in esse e neppure di quotidiano. Egli è come un musicista che va all'origine della musica prima della melodia, ai suoni e ai rumori del silenzio. La sua è una pittura tautologica, che vuole rappresentare in tutti i possibili e impossibili aspetti e combinazioni l'astrazione della realtà oggettiva e visibile. I suoi oggetti sono tornati ad una forma non finalizzata. La loro autentica vita è nell'essere forme non transeunti, non provvisorie; dopo la parentesi accidentale dell'uso,essi tornano all'eternità assoluta della forma che non è che se stessa per rappresentare tutto il mondo naturale, materiale e spirituale. Dice Morandi: "Nulla è più astratto del visibile".

 

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Pierre Bonnard

Claude Oscar Monet

J. B. Camille Corot


Altro grande isolato è il francese
Pierre Bonnard (1867-1947 / "Il movimento della strada", 1905; "Nudo allo specchio", 1933; "Studio con la mimosa", 1939-46) la cui opera è temporalmente di difficile collocazione tra i postumi dell'Impressionismo e tuttavia troppo ancorata al secolo precedente per poter essere avvicinata a qualunque esperienza del Novecento.


 

 

Partendo dalle prime opere maturate all'interno del gruppo dei Nabis, che cercano di reagire all'Impressionismo con una pittura maggiormente meditata, stesa in campiture più nette e delineate, giunge ai primi del Novecento a ripensare invece allo stesso Impressionismo con lavori in cui vi è la stessa presa diretta della realtà di Monet e compagni, ma resa più statica e mescolata ad un'aura di mistero.

Ma è in età più avanzata, nella sua totale immersione nella natura mediterranea, che nascono le opere più significative proprio mentre intorno a lui maestri più inquieti fondano e disfano movimenti artistici. Citando l'opera "Studio con la mimosa" dipinta negli anni della II guerra mondiale, non possiamo non ricordare che negli stessi anni Pollock e Fautrier creano l'informale e che i tempi dell'avanguardia storica sono finiti, eppure questo è un dipinto che, come afferma Caroli, è da collocare fra le vette della pittura contemporanea: "Bonnard riprende il problema di Monet un po' prima delle sue conclusioni "informali", lo carica di inebriata concretezza figurativa, e lo lancia, senza infingimenti, nel bosco sacro di Pan, la terra di tutti gli amplessi e di tutti i piaceri, la terra dove si coniuga ogni essere e ogni colore, il paradiso di tutte le procreazioni.

L'artista francese continua in questo modo a variare all'interno del suo particolare universo visivo le tematiche a lui più care (paesaggi, stanze, nature morte, nudi), che possono facilmente divenire banali e considerati fuori epoca se non si tiene presente un'altro elemento importante della pittura di Bonnard: la considerazione del tempo, di quello presente e di quello che scorre irreparabilmente di proustiana memoria.

 

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