Metafisica

 

METAFISICA

Scuola pittorica nata in Italia ad opera di Giorgio de Chirico e Carlo Carrà, cui aderiscono poi Morandi, Savinio (fratello di De  Chirico) e in parte de Pisis, Sironi, Casorati e altri.


Carlo Carrà

Giorgio Morandi

Mario Sironi

Filippo De Pisis


Caratteristica della Metafisica è la massima importanza attribuita al sogno, all'onirico, alla dimensione dell'interiorità dell'uomo.

Si distingue dal Surrealismo per l'aspetto più contemplativo, classico, legato a fattori fortemente culturali, con precisi legami con la tradizione dell'arte.
 

 

Elementi di vicinanza sono invece la poetica dell'enigma ossia del fenomeno non spiegabile con i soli mezzi della ragione e della scienza, l'accostamento imprevedibile e spiazzante di elementi totalmente estranei e incongruenti tra loro come possono esserlo un manichino, un biscotto e una statua antica nel mezzo di una piazza deserta attraversata da un treno, l'ammissione di leggi ultrafisiche della realtà che trascendono la logica ordinaria.

Negli stessi anni rutilanti del Futurismo, contemporaneamente all'affermarsi delle avanguardie artistiche più polemiche verso il sistema sociale e culturale, matura da più parti una sorta di ritorno all'ordine con la finalità di rivitalizzare un certo linguaggio pittorico messo in crisi da eccessivi sperimentalismi e di riaffermare determinate valenze formali quali l'equilibrio, il rigore compositivo e la chiarezza, oltre che la solidità dell'impianto figurativo.

Non potendo però più prescindere dai nuovi risvolti assunti dall'arte contemporanea attraverso l'apporto dell'avanguardia, la ricerca è orientata verso una sorta di modernità scevra di tutti i clamori avanguardistici e  tesa a riflettere sugli elementi dello specifico pittorico: colore, forme e volumi inseriti in un pacato impianto compositivo che nelle migliori prove si tramuta in assunzione di motivi della tradizione trasposti in un linguaggio inconfondibilmente nuovo.

La collocazione culturale della pittura metafisica è infatti a metà strada tra questa necessità di ritorno ai canoni estetici tradizionali e la poetica dell'oggetto inutile, casuale, del movimento Dada, che si identifica qui con l'indecifrabilità del significato degli oggetti nello spazio.

 

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Giorgio de Chirico

Giorgio De Chirico

I prodromi del nuovo indirizzo artistico sono già presenti nelle opere dei primi anni Dieci di Giorgio de Chirico (1888-1978 /  Lotta fra Lapiti e Centauri, 1909; Il centauro ferito, 1909; (Piazza d'Italia, Autoritratto, L'enigma dell'oracolo; Il grande metafisico, 1917; Le muse inquietanti, 1917), nel titolo di una delle quali utilizza per la prima volta il termine Metafisica. Fin dal 1910 de Chirico elabora infatti un personale linguaggio maturato in seguito alla conoscenza della pittura romantica, visionaria e decadente di Poussin, Lorrain, Friedrich e in particolare di Böcklin e della filosofia nordica, soprattutto di Schopenhauer, e nel ritorno al mondo classico soprattutto evocato nei primi dipinti da scenografie architettoniche e atmosfere magiche, le stesse presenti nella successiva matura stagione metafisica.



La giovanile esperienza in Grecia ha grande influenza sull'artista, che si reca spesso con la famiglia ad Atene, completando con lo studio della statuaria greca e romana una preparazione nutrita di storia antica, di mitologia greca e di conoscenza delle lingue.

Il contrasto e la compenetrazione di antico e moderno nella terra della classicità per eccellenza influenzano notevolmente la sua opera.

A Monaco assimila la lezione dei simbolisti tedeschi Max Klinger, Hans Thoma e del già citato Arnold Böcklin, del quale si avverte l'influsso nelle prime opere insieme all'evocazione del mondo classico. Rientrato in Italia legge Schopenhauer e Nietzsche. In pittura elabora uno stile proprio in cui cultura classica ed evocazioni oniriche si fondono in paesaggi e scenografie dai toni talvolta ironici, talaltra malinconici.

Dipinge nel 1910 "L'enigma dell'oracolo", in cui riprende il motivo della figura femminile ricurva presente nell'opera "L'isola dei morti" di Böcklin, mentre lo spazio è fissato in una prospettiva quattrocentesca ma le novità del dipinto, la cui pittura risente ancora della tradizione naturalistica e accademica, risiedono in alcuni elementi che contribuiscono a creare un senso di spiazzamento come il separé sulla nudità di una statua classica e la figura femminile così staticamente immersa nella meditazione di un paesaggio mediterraneo.

Al Salon d'Automne nel 1912 presenta tre tele, tra cui una Piazza d'Italia che già contiene, sulla base del concetto di Stimmung ("atmosfera nel senso morale"), elementi metafisici: gli oggetti e le prospettive appaiono straniati dai loro contesti più ovvi e sembrano voler esprimere una dimensione intrinseca, che in realtà rimane enigmatica.

Con l'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, de Chirico è richiamato alle armi e destinato a Ferrara. E' in questa città dal ricco passato artistico che avvengono alcuni incontri importanti, soprattutto con Carrà e de Pisis e che prende corpo, a partire dal 1917, l'esperienza capitale della pittura metafisica.

E' durante la stagione ferrarese che si affermano pienamente quei valori estetici e pittorici legati a una lettura del reale che trascende l'apparenza delle cose per svelarne l'anima e racchiuderle in algide atmosfere temporali, e benché in generale si configuri la Metafisica proprio come richiamo ad una realtà a cui ancorarsi al di là dell'apparenza fenomenica delle cose, nei suoi tre maggiori esponenti, oltre a
de Chirico, Carrà e Morandi, ha motivazioni e sviluppi diversi.

"E' proprio qui in Italia, - scrive Marco Valsecchi -  in questi ambienti carichi di cultura e intravisti da una angolatura sentimentale in cui ironia e nostalgia si mescolano ad un estro inventivo che de Chirico comincia a dipingere certe sue opere enigmatiche, di apparizioni di personaggi curiosi, di muraglie in profonde prospettive fra l'irreale e lo scenografico. Questa visione, che chiamerà magia della realtà, entro cui cultura e suggestione, malinconia e divertimento si compongono in una interpretazione pittorica originale, si arricchisce col soggiorno a Parigi dal 1911, accanto ai grandi personaggi dell'avanguardia artistica, da Apollinaire a
Picasso. Si accentua, cioè, la sua interpretazione soggettiva; la realtà non è più che uno schermo su cui si proiettano episodi di fantasia, drammi di oggetti (palle, guanti di gomma, biscotti) spinti in un'aria allucinata, quasi a forzare il nesso logico alla scoperta di una verità più segreta, metafisica. Ed è in questo senso che una volta giunto a Ferrara nel 1915, richiamato alle armi, chiama metafisica la sua pittura, che ora si avvale di una cultura museale dove entrano i nomi di Paolo Uccello e di Cosmè Tura. I Manichini da sartoria diventano i personaggi dei suoi dipinti, dove i più quieti tramonti e le classiche architetture sembrano stregati da queste sorprendenti presenze; e si potrebbe trovare una colleganza con lo spirito altrettanto soggettivistico, irridente e penetrante insieme, dei drammi pirandelliani di quegli stessi anni, dove la realtà diviene matrice delle più lucide e conturbanti fantasie irrazionali".

Nei dipinti di de Chirico di questi anni i manichini, carichi di un'imponenza statuaria, trovano posto nelle scenografie ispirate a Ferrara (Il grande metafisico, 1917; Le muse inquietanti, 1917), mentre gli oggetti metafisici del quotidiano popolano gli interni come nella serie degli Interni metafisici del 1916-1918 che confermano come nella sua opera la metafisica si realizzi nell'accostamento ironico ed ambiguo di immagini ed oggetti tra i più disparati, rimandando ad altri significati sia letterari che filosofici che bloccano il senso della composizione ad uno stadio magico ed enigmatico.

Nel 1924 de Chirico è oggetto di grande stima da parte dei surrealisti, che in lui riconoscono un proprio maestro. Con essi l'artista giunge però ben presto ad una rottura, a causa sia di divergenze di fondo tra il surrealismo "freudiano" dei primi e la propria metafisica, la propria "visione magica della realtà", sia del disconoscimento messo in atto dal gruppo di Breton nel confronti dei lavori da lui prodotti dopo i1 1918. Grazie anche all'ammirazione circoscritta dei
surrealisti, è comunque in questa occasione che avviene l'affermazione decisiva della sua opera.

 

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Carlo
Carrà
morandi
Giorgio Morandi

Il periodo metafisico di Carlo Carrà (La musa metafisica, 1917; L'amante dell'ingegnere) si manifesta invece a partire da una precisa volontà: quella di tornare, dopo l'esaurimento del futurismo, ad una pittura realizzata con i principali valori dell'"italianità" artistica, affermata nelle sue opere con il recupero dell'integrità degli oggetti e della "poetica delle cose ordinarie".

Egli azzarda anche la via di un'astrazione che parte dal dato oggettivo per percepirne l'interiorità formale e che risolve con il controllo geometrico della pittura, come nell'opera "La camera incantata" del 1917.

 

 

D'altronde Carrà già a partire dal 1914 testimonia una ricerca, poi culminata appunto nell'esperienza metafisica, lontana dal mistico fervore futurista per il dinamismo, compiuta attraverso un profondo studio dell'opera di Paolo Uccello e di Piero della Francesca e delle soluzioni spaziali e costruttive da essi suggerite, come preciserà egli stesso in uno scritto pubblicato nel 1945: "Torna così nella mia pittura il "numero", cioè la divisione armonica degli spazi e dei piani, come ebbero a manifestare nella loro pittura Paolo Uccello e Piero della Francesca. Tutto ciò, naturalmente, al fine poetico del dipinto. Ma se cerco di dare alla fantasia e all'immaginazione, e alla geometria, l'importanza che a mio giudizio esse meritano, non vorrei in tal modo venire confuso con coloro che a queste parole danno un senso totalmente letterario, o meramente scientifico. Attenzione, dunque, ai tecnicismi: altra eredità che respingo, perché non ha servito che a creare nuove accademie, non meno dannose di quelle fiorite all'ombra di una malintesa tradizione.
Altra mania, cioè, che ha fuorviato non poco lo spirito artistico del nostro tempo. Si tratta, in sostanza, di superare le sensazioni puramente fisiche che noi abbiamo dalla realtà, e creare la condizione prima per intendere nella sua portata specifica il problema pittorico della trascendenza plastica. E poiché io credo che l'arte figurativa sia il superamento del realismo come dato fenomenico, e cioè del verismo, e non debba d'altra parte neppure restringersi alla sola immaginazione, così io penso che natura, cioè realtà, e arte, siano un binomio inscindibile: nel senso d'un superamento dell'antitesi di modernità e tradizione, creata in tutti i paesi occidentali dagli artisti dell'Ottocento, e condotta all'esasperazione nei periodi successivi: frutto ancora del romanticismo e dell'individualismo capriccioso e arbitrario che caratterizzarono parecchie generazioni.

Motivando in tal modo, credo di aver fatto intendere come da molti anni la mia polemica con le correnti intellettualistiche predominanti in Europa sotto denominazioni diverse, sottintende e riposa sopra una serie di esperienze spirituali. Insomma, la mia pittura non vuol essere né naturalista né solo mentale, pur affermando l'esistenza dei valori di realtà e di quegli altri che ci vengono dall'immaginazione: rispondendo cioè ad esigenze plastiche umane e integrali". Ulteriormente diversa è l'esperienza metafisica di Giorgio Morandi (Natura morta, 1918; Natura morta, 1919), a conferma di come a Ferrara il nuovo indirizzo ha forza tale da rapire e coinvolgere personalità dalle origini e dai percorsi profondamente diversi.

 


Paul Cézanne

J. B. Camille Corot

André Derain

Giotto

Piero della Francesca

 

La sua stagione metafisica ha vita breve, dal 1918 al 1920, ed è successiva ad un lungo periodo in cui l'artista bolognese è impegnato in personali rivisitazioni dell'opera di Cézanne, Corot, Derain.

 

 

Morandi approda alla nuova esperienza quasi come una naturale conseguenza di una attenzione da sempre rivolta al tonalismo e alla geometria dei volumi, intuendo però la possibilità di giungere ad esiti di assolutezza formale quali quelli riscontrabili in Giotto, nei maestri del primo '400 e in particolare in Piero della Francesca.


Il rapporto di Morandi con le "cose ordinarie" della realtà, nel modo di percepirle e relazionarle tra loro, è vissuto come pretesto per una ricerca esclusivamente pittorica che avvicina la sua poetica più ai modi metafisici di
Carrà che non a quelli di de Chirico.

 

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