Il liberismo economico

 

Liberalismo economico

L’espansione economica dell’Europa di fine 800 è favorita dalla scomparsa di una serie di antiche leggi che limitavano la circolazione del denaro e l’area di azione degli operatori economici. Non vi è più traccia ad esempio degli obblighi di reimpiegare i proventi dei propri commerci nel proprio paese, così come non occorre esportare merce in un dato paese per importarne altre da esso e la moneta ricavata dalla vendita di merce in un dato paese non deve essere necessariamente spesa in esso, ma può essere cambiata con quella di un altro paese ed essere così usata altrove.
La libertà dei commerci internazionali permessa dal liberismo adottato d all’Inghilterra per prima, seguita poi dalla Francia e quindi da tutti gli altri, porta all’importazione e all’esportazione secondo le necessità e la possibilità e porta conseguente mente l’Europa ad importare materie prime per l’industria, viveri e articoli diversi per la popolazione in quantità superiore a quella delle esportazioni. Il divario viene compensato però dai ricavi dei servizi resi dalle strutture europee al resto del mondo: i trasporti, le assicurazioni, i prestiti di capitale.
In tutti e tre tali campi l’Inghilterra è ancora in testa in Europa per capacità della sua marina mercantile, per solidità dei suoi assicuratori (Lloyds e altri), per quantità di capitate esportato nelle Americhe, in Africa, in Asia e in Australia.
L’esportazione di capitate è destinata all’investimento nelle strutture industriali e commerciati dei paesi extraeuropei, in prima luogo quelli d’oltreoceano e da una parte con i proventi viene pareggiata e portata in attivo la bilancia dei pagamenti, ossia viene compensato il saldo negativo della bilancia commerciale data dalla differenza sfavorevole tra esportazioni e importazioni, dall’altro lato molte regioni extraeuropee crescono e si sviluppano grazie a tali investimenti essendo essi non solo di puro sfruttamento come nei secoli scorsi, ma di impiego nella costruzione di impianti, magazzini, porti, stabili menti e imprese con gestione autonoma pur se controllata finanziariamente.
Un simile sistema di produzione e di commercio su scala internazionale ha bisogno di un sistema di pagamento accettato da tutti i paesi. L’oro viene riconosciuta come l’unica unità di misura universalmente valida per le varie monete nazionali. In base alla ricchezza delle nazioni, ossia alla sua capacità di produzione di beni e servizi viene stabilita una parità della moneta ufficiale con una certa quantità di oro. Tale moneta può essere cambiata con il metallo prezioso e viceversa dal possessore in qualsiasi momento. Stante questo valore certo, qualsiasi moneta può essere anche scambiata con quella di un altro paese secondo i rispettivi valori rapportati all’oro.
Il sistema dà certezza in quanto tutti i paesi "civili" dell’epoca sono in grado di sostenere con le riserve auree la propria moneta, ma va invece a discapito dei paesi poveri o poveri di oro.
La produzione industriale e agricola procede però con un ritmo più elevato rispetto alle capacità produttive e di provvista di oro, con la conseguenza che avendo più merce che oro, per la legge della domanda e dell’offerta la merce perde valore rispetto al metallo prezioso, calano cioè i prezzi dei prodotti comuni con svantaggio e danno soprattutto per gli agricoltori e per gli imprenditori che lavorano con capitale preso a prestito, mentre per contro vengono favoriti i ricchi finanziatori che ricevono interessi con i quali possono essere acquistati più beni e i lavoratori salariati per il maggiore potere d’acquisto del loro salario. I benefici dei salariati sono tuttavia di passaggio, non vengono cioè investiti, al massimo destinati al risparmio, mentre i danni dei piccoli e grandi imprenditori che dipendono dal finanziamenti bancari o privati e i vantaggi dei ricchi finanzieri e degli istituti di credito contribuiscono alla concentrazione del capitali e alle differenze sociali.
Gli stessi salariati nel ricevere un vantaggio dalla diminuzione dei prezzi possono essere soggetti alla perdita del lavoro se dipendenti dalle aziende produttrici che non possono più sopportare i costi di produzione con tali prezzi.
Le cause dell’abbassamento dei prezzi e di periodi di crisi regionali alternate a altri di espansione non dipendono solo dal sistema aureo, ma anche dalla concorrenza mondiale. L’estensione internazionale del mercato permette ormai la libera scelta degli acquisti e della vendita nei luoghi più convenienti, ossia dove il prodotto può essere acquistato a minor prezzo e venduto a prezzo più alto. I produttori non si confrontano più con la concorrenza locale quindi, ma con quella mondiale e possono non reggere di fronte a migliori condizioni di produzione esistenti altrove, a confronto ad esempio con regioni in cui la manodopera è notevolmente meno cara e permette un prezzo di vendita del prodotto notevolmente più basso.
Visti tali esiti, si cominciano a prendere i primi provvedimenti, alcuni nella logica di reazione naturale delle strutture economiche, altri d’autorità ad opera dei governi.
Una misura autoritaria si concreta in dazi e tariffe doganali di carattere protezionistico per cui un prodotto proveniente a basso costo da uno stato estero, con l’aggiunta della tassa da pagare al momento dell’importazione, diviene di costo uguale o superiore al prodotto interno e quindi meno concorrenziale. Conseguenza non marginale di tale politica è una serie di pericolosi attriti tra stati al limite della crisi anche militare.
Un’altra misura autoritaria consiste nell’assistenza e negli aiuti economici stabiliti tramite leggi ai prodotti interni non competitivi sul piano internazionale, con effetti simili a quelli delle alte tariffe doganali.
Misura non autoritaria scaturita dalla logica del sistema economico è invece la nascita della società a responsabilità limitata, comprese le società per azioni in cui un gran numero di persone rischia solo piccoli capitati che messi insieme forma no il necessario per grandi imprese, il cui eventuale fallimento porta i diversi piccoli risparmiatori investitori a perdere solo le loro quote di proprietà nella società senza che possa essere intaccato il rimanente del loro patrimonio personale.
Le più grandi società hanno necessità di ingenti capitali e cominciano a rivolgersi al pubblico più generale di investitori tramite istituti bancari o finanziari che crescono così di importanza usando elevate quantità non proprie di denaro per appoggiare, creare, aiutare, sostenere o combattere e sopprimere società in ogni settore.
La concentrazione di capitale in società per l’esercizio di grandi imprese sotto una direzione unica portò a politiche imprenditoriali più attente a dominare i fattori di produzione e gli elementi più aleatori del processo produttivo, che ovvia mente si ponevano all’esterno, in primo luogo nelle fonti di approvvigionamento. Grandi società produttrici di acciaio cominciarono ad esempio a controllare, acquistandole o gestendole, le miniere da cui proveniva il carbone e il ferro, o a diversificare la produzione in più direzioni (dal materiale lavorato ai manufatti finiti) per garantirsi sempre l’esistenza di una larga fetta di mercato.
Visti i pericoli e i danni della concorrenza molte società trovarono opportuno allearsi anziché combattersi e livellare i prezzi di comune accordo dividendosi opportunamente il mercato.
Erano i trusts o cartelli nati allo scopo di giungere a monopoli che garantissero la sicurezza dello smercio dei prodotti alle proprie condizioni sottratte alle leggi del mercato per eliminazione materiale della concorrenza. Molte piccole aziende vennero schiacciate da tali unioni e concentrazioni e una massa sempre più grande di persone andava a costituire a classe degli impiegati e degli operai. Se gli impiegati sentivano che il loro stipendio, il loro tenore di vita dipendevano dalla fortuna della società verso la quale nutrivano non di rado, forme di attaccamento per spirito di corpo o per coscienza di agire anche nel proprio interesse, le condizioni ben inferiori degli operai portarono questi ultimi a forme di opposizione solidale e di organizzazione sindacale con funzioni rivendicative e di difesa della categoria.
In questo quadro economico si inserisce lo sviluppo del socialismo in quasi tutti i paesi europei e in Russia.

 

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