Hunt William Holman

 

William Holman Hunt
(1827-1910)

E’ il meno noto ed apprezzato dei preraffaelliti, anche se sarà il solo a tener fede, fino in fondo, ai presupposti originari della Confraternita. Londinese, figlio di un capo magazziniere, destinato a un lavoro subalterno se non fosse stato sorretto da passione fortissima per la pittura, dopo due tentativi falliti entra, nel 1844, nelle scuole della Royal Academy.

Negli anni successivi si avvicina agli scritti di Ruskin e alla poesia di Keats: influssi fondamentali per l’individuazione di uno stile e di una iconografia. Nel 1848 espone alla Royal Academy un’opera ispirata a Keats: La fuga di Maddalena e Porfirio, in stile ancora accademico. Attraverso Millais conosce Rossetti: la fondazione della P.R.B. è cosa nota.
 


 Isabella e il vaso di basilico


La luce del mondo

Rappresentante tipico della tecnica preraffaellita, è convinto che l’arte non possa prescindere da costante, perseverante applicazione, anche se nel 1863 confesserà sconfortato: «Lavoro e lavoro finché mi sento il cervello prosciugato come un vecchio pezzo di sughero, ma il risultato si allontana sempre più da me!»

Animato da sentimenti religiosi e pervaso dallo spirito moralistico di Ruskin, dipingerà quadri sacri rivolti a un vasto pubblico; ma anche soggetti letterari: da Keats, da Tennyson e soprattutto da Shakespeare.

 

 

 


Due soggetti shakespeariane infatti sono tra i primi suoi quadri preraffaelliti: Claudio e Isabella (1850-1853) e Valentino salva Silvia da Proteo (1850-1851). L’uno (da Misura per misura) pone il problema del rapporto fra il bene e il male: Claudio, imprigionato, vuole convincere la sorella a cedere alle voglie di Angelo, il crudele signore, per aver salva la vita. L’altro (da I due gentiluomini di Verona) è scena di riconciliazione: Valentino induce l’amata Silvia a perdonare Proteo per aver tentato di sedurla venendo meno all’amicizia che a lui Io legava. L’aver scelto in entrambe le opere momenti ricchi di intenzioni etiche, non disgiunte da venature erotiche, sottolinea l’interesse dell’artista per problemi come colpa e redenzione, offrendoci anche possibili chiavi di lettura del suo carattere e delle sue vicende biografiche.

Innamoratosi di una sua modella, Annie Miller, con tipico zelo evangelico aveva tentato di redimerla e avrebbe voluto sposarla. Ma, affidata la ragazza a Rossetti al momento del primo viaggio in Terrasanta, al ritorno l’aveva trovata nel pieno di una situazione amorosa con l’amico, certo custode inadatto della virtù femminile.

Rimasto scapolo fino al 1865, sposerà Fanny Waugh, morta prematuramente di parto l’anno successivo. Nel 1875 ne sposerà la sorella Edith, non senza complicazioni, essendo tale tipo di matrimonio proibito dalle leggi inglesi.

C'è certamente una vena di morbosità nell’atmosfera di fervore religioso e repressione moralistica che circonda la vita e l'opera di Hunt. Diversamente da Rossetti, egli è un tipico uomo della epoca.

Nel 1853 dipinge gli ultimi due quadri che precedono lo scioglimento della Confraternita: Il Risveglio della coscienza e La luce del mondo come versione secolare e religiosa del tema della salvezza. Opere per noi difficili da accettare per l’irrimediabile tono e per l’affollamento di intossicanti elementi simbolici.

Ne primo si rappresenta una prostituta che, presa da rimorso, ha un soprassalto, mentre l’ignaro seduttore continua a suonare l piano: il messaggio è quello della possibilità della redenzione.

Ruskin, in una lettera del 1854 al Times, aveva difeso l’eccessiva proliferazione di particolari del dipinto: "Nulla è più interessante del modo nel quale anche gli oggetti più banali s’impongono all’attenzione d’una mente animata da sollecitazione vitale e incalzante».

Ne La luce del mondo l’artista esplica una notevole tensione nel rendere con cura lo sfondo illuminato dalla luce lunare, lavorando di notte, all’aperto, a lume di lanterna. Accolto con scarso interesse all’esposizione della Royal Academy del 1854, il quadro sarà ancora una volta difeso da Ruskin.

 


Il ritrovamento del Salvatore nel Tempio


Il capro espiatorio

La Dama di Shalott

In seguito (1865) l’autore spiegherà come la luce fisica corrisponda alla luce spirituale, la ruggine alla corrosione delle facoltà vitali, le erbacce alle malvage attitudini, il pipistrello, animale notturno, al buio e all’ignoranza, e così via. Quadro molto popolare, riprodotto senza fine in libri e stampe, diverrà una delle immagini chiave della religiosità vittoriana.

 

 



Recatosi in Terrasanta all’inizio del 1854 (vi ritornerà nel 1869, nel 1875 e nel 1892), condizionerà sempre più la sua opera all’esperienza diretta dei Luoghi Santi. Il primo risultato, Il capro espiatorio, è davvero eccentrico nel suo tentativo di tradurre l’intensità di visione in visionario fervore religioso.

Anche Ruskin, questa volta, citerà il pericolo di «un eccesso di sentimento, che può fare dimenticare le esigenze della pittura come tale» (1856). Affrontati grandi disagi (dipingeva sulle rive del Mar Morto, a una temperatura al limite del sopportabile, con un fucile accanto per difendersi dai predatori), Hunt ambienta l’animale simbolo delle colpe del mondo nel luogo stesso dove credeva fosse esistita Sodoma. Per noi l’unico interesse è nella componente iperrealista che prosciuga l’atmosfera e comunica una sorta di allucinata tensione.

Altra opera di ambientazione palestinese è Il ritrovamento del Salvatore nel Tempio, terminato dopo il 1860. Orgoglio, indolenza, invidia, sensualità si leggono sui volti di rabbini, dipinti da veri modelli semiti. L’artista è attratto dai costumi e dalla storia ebraica, cosa che balza da ogni particolare dell’elaborato dipinto.

Nel 1867, con Isabella e il vaso di basilico, tornerà a un tema proto preraffaellita: nonostante il clima orientaleggiante, il quadro era stato concepito a Firenze durante la malattia della prima moglie e, dopo. la morte, a lei dedicato.

Tornato in Terrasanta, realizza altre opere religiose: L’ombra della morte (1869-1870) e Il trionfo degli innocenti (1876-1887), diffuse ampiamente in stampe e riproduzioni, sempre più elaborate, sempre più calligrafiche.

Nella prima, in accordo con le idee espresse da Carlyle in Passato e presente (1843), vuole sottolineare la nobiltà del lavoro manuale. Senso di solitudine, mancanza di fiducia accompagnano l’esecuzione. «Anche se fosse la migliore opera mai dipinta, dopo la grande infelicità che mi ha procurato la odierei a tal punto da non vedervi che difetti!» confesserà nel 1872.

Ne Il trionfo degli innocenti realtà e allegoria si mescolano curiosamente. Era stato definito da Ruskin «il più gran quadro religioso dell’epoca», ma ci sembra più nel giusto F.G. Stephens, l’antico sodale della P.R.B., che lo riterrà «strano miscuglio di reale e irreale, contraddittorio e inquietante», dichiarandolo «un nobile fallimento». Definizione che potremmo forse applicare all’intera opera dell’artista.

A cavallo del secolo (1886-1905) è La Dama di Shalott, che ci riporta, in stile ormai Art Nouveau, ai climi romantico-medioevali delle illustrazioni dei Poems di Tennyson del 1857. Curioso effetto, quello della durezza reificante di Hunt applicata al nuovo gusto! Un ultimo eccesso è nella capigliatura esorbitante della dama, per dipingere la quale l’artista pare avesse impiegato tre anni.

 

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