Giotto

 

Giotto
(Giotto di Bondone)

Italiano (Colle di Vespignano in Mugello, Firenze, 1266 - Firenze, 1337)

Allievo di Cimabue, vicino a Pietro Cavallini, superò ben presto i maestri dai quali, come già aveva preso il colore dal gusto bizantino, accolse l'espressione grafica più delicata fiorentina, tesa a dare maggior vigore plastico alle sue raffigurazioni, seppe liberarsi quindi dall'impersonale stilizzazione della pittura gotica riuscendo a intuire e quindi a penetrare, l'umanità intesa spiritualmente e corporalmente. La sua attività si manifesta dapprima sugli affreschi, con le Scene del Vecchio e del Nuovo Testamento della chiesa superiore di Assisi, eseguiti nell'ultimo decennio del secolo XIII; non sembra esistere soluzione di continuità tra queste opere e quelle del ciclo inferiore dedicate alla Vita di S. Francesco, sebbene qualcuno pensi a un viaggio a Roma avvenuto in questo periodo, soprattutto per la maggior influenza di Cavallini riscontrata in questo secondo ciclo pittorico. Certamente si recò a Roma per il Giubileo del 1300, ed è in questa occasione che dipinse la Proclamazione dell'Anno Santo, ora in S. Giovanni in Laterano, e il mosaico della Navicella. Della stessa opera probabilmente il Crocifisso con la Madonna e S. Giovanni in S. Maria Novella a Firenze e la Madonna d'Ognissanti a Firenze.

 


Il personaggio cui viene
 attribuita l'ideazione
del programma iconografico
della cappella

Particolare della decorazione
di una delle tre fasce
architettoniche che dividono la volta

Madonna

Tra il 1303 e il 1305 si recò a Padova dove, nella cappella degli Scrovegni, all'Arena, esegue l'Annunciazione, Il Giudizio universale, trentasette scene della Vita di Gesù e di Maria e figure allegoriche dei Vizi e delle Virtù: è questo il periodo maggiore dell'attività dell'artista, dalle figure più costruite, più umane, dalle scene plasticamente meglio impostate.

 

 

 

Nell'ultimo trentennio della sua vita, l'attività di Giotto, ormai affermato, divenne prodigiosa. Fu probabilmente ad Avignone, ma senza dubbio a Napoli, a Bologna, a Milano, a Firenze specialmente dove si cimentò anche nell'architetture e nella scultura del campanile della cattedrale.

In questo periodo decorò anche quattro cappelle in S. Croce; solo due rimangono, quella Bardi con le Storie di S. Francesco e quella Peruzzo con le Storie di S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista.

Di quest'ultimo periodo sono anche altre opere, il Crocifisso nel Tempio Maltestiano di Rimini, un polittico ora diviso in varie collezioni, il S. Stefano della collezione Horne, il Trittico Stefaneschi della Vaticana, oltre a numerosi altri dipinti che la critica non sempre concordemente gli assegna.


Cosa dicono


 La scena del "Noli me tangere"

Maestro d'Isacco,
Isacco respinge Esaù, Assisi

Conferma delle stigmate,
Basilica  di San Francesco,
Assisi

La prima citazione di Giotto come autore della decorazione pittorica - mai peraltro messa in discussione - risale al 1312 -1313. Si tratta di un notissimo passo contenuto nella Compilatio Chronologica di Riccobaldo da Ferrara: "Joctus pictor eximius florentinus agnoscitur.
Qualis in arte fuerit testantur opera facta per eum in ecclesiis minorum Assisii Arimini Padue et in ecclesia Arene Padue".

 

 

 
Vale la pena di riportare qui la citazione di un particolare del ciclo giottesco che viene fatta appena più tardi (1313) nei Documenti d'amore di Francesco da Barberino: "[…] unde ividiosuis invidia comburitur intus et extra hanc Padue in Arena optime pinxit Giottus". L'opera doveva essere finita da più anni, almeno secondo l'opinione critica ora prevalente. Tale posizione si basa, oltre che su osservazioni di carattere critico, sull'esistenza di alcuni antifonari nella cattedrale di Padova, contenenti miniature che si rifanno in maniera palmare a riquadri del ciclo giottesco con lo stesso soggetto. Le miniature sarebbero state eseguite entro il 1306 e costituirebbero pertanto il termine cronologico oltre il quale i dipinti dell' Arena non possono andare, tanto più che due dei riquadri presi a modello, il Compianto sul Cristo morto e il Noli me tangere, non possono che essere stati dipinti quando l'impresa volgeva verso la fine, trovandosi nel registro più basso.


Se è possibile ipotizzare per il completamento dell'opera un termine al 1305 o comunque non oltre il 1306, nessuna notizia certa ci è pervenuta che ci consenta di collocare negli anni l'inizio dell'attività del pittore nella Cappella. Non si conosce la data esatta o quanto meno l'anno in cui egli giunse a Padova; del resto la notizia probabilmente non avrebbe potuto essere di grande aiuto perché non è detto che egli fosse venuto su invito dello Scrovegni, anzi si è sempre pensato che a chiamarlo siano stati i Francescani di Sant'Antonio. A giudicare dai frammenti sopravvissuti nel Capitolo, non è sicuro che essi siano opera del maestro; tutt'al più, il solo frammento con i sacerdoti potrebbe essere opera della bottega e comunque del secondo decennio del secolo. Restano, quindi, ancora molti problemi aperti.


La suddivisione dello spazio

 
stellato della volta in due campi perfettamente uguali, in ognuno dei quali brillano come astri di inusitata grandezza la Vergine, madre e regina, (nel campo vicino all'ingresso), e Cristo Benedicente, rende immediatamente il senso del ruolo attribuito in quella chiesa alla Madonna che, intermediaria nei confronti del Figlio e tramite pertanto della Salvezza, è la vera protagonista del ciclo.

Un significato confermato dallo sviluppo eccezionale, almeno nell'ambito della pittura monumentale d'Occidente, delle scene che ne narrano le   vicende prima e dopo la nascita, occupanti l'intero registro superiore e gran parte della parete dell'arco trionfale, nonché la sua reiterata presenza sulla controfacciata, in atto di ricevere la Cappella dal peccatore pentito (Santa Maria della Carità) o di guidare le schiere dei beati verso la ricompensa eterna.

 


Giudizio universale,

affresco
dettaglio 1306
cappella Scrovegni Padova

l'adorazione dei magi
1304-1306

Cappella dell'Arena

San Francesco dà il suo manto
ad un povero uomo,
affresco 1300
Chiesa superiore, San Francesco, Assisi

Tale intenzione si dichiarava d'impatto al visitatore che entrava nella Cappella, il quale era subito attratto dalla rappresentazione dell'Annunciazione sull'arco trionfale, di dimensioni inusuali per l'inserimento dell'episodio (rarissimo) della Missione dell'annuncio a Maria. La rappresentazione del Giudizio Universale sulla parete di fronte mette istantaneamente in rapporto l'inizio e la fine della vicenda principe nell'esperienza di ogni buon cristiano: la salvazione.

 


Poiché i misteri legati a quest'ultima richiedono una raccolta meditazione, Giotto impone un percorso mentale che è anche movimento fisico, disponendo gli episodi della vita della Vergine e di Cristo in una sequenza narrativa tale che il riguardante è sollecitato ad andare su e giù per ben tre volte prima di arrestare lo sguardo dinanzi all'altare. Da qui, per decidere del proprio comportamento, dopo il memento mori delle due cappelle funerarie dipinte, al visitatore non resta che considerare i percorsi alternativi configurati nelle due pareti dalla sequenza dei sette Vizi e delle sette Virtù: i primi, sulla parete settentrionale, conducono - con un crescendo che culmina nello Disperazione penzolante impiccata - all'Inferno; le altre, culminanti nella Speranza levata in volo, terminano nella zona destinata ai beati.
 


Rispondenze


I diavoli hanno lanciato
da Arezzo,
affresco 1300
Chiesa superiore
del San Francesco, Assisi

Scene dalla vita di Gioacchino
Sogno del
Gioacchino,
affresco
part. angelo  1305-13
Cappella dell'arena a Padova

Scene dalla vita del Virgin
La presentazione al tempiale,
affresco part. angelo 1305-13
Cappella dell'arena a Padova

Scene dalla vita del Virgin
Il volo in Egitto part.

affresco
angelo 1304-13
Cappella dell'arena a Padova

 

Vizi e Virtù si corrispondono dalle due pareti secondo il criterio dell'abbinamento dei contrari, lo stesso che è possibile riscontrare in altre zone della Cappella, la più nota delle quali è quella che ospita, nella parete nord, dieci piccole scene tratte dal Vecchio Testamento che istituiscono con le contigue Storie di Cristo rapporti di prefigurazione.

 

 

Questi accostamenti sono fondati sul solo significato (letterale o allegorico che sia), altri sfruttano rispondenze di carattere più complesso e anche specificamente formale, a cominciare dal 'parallelismo' scoperto circa mezzo secolo fa dall'Alpatoff, uno tra i maggiori studiosi di Giotto, tra numerosi riquadri della vita di Cristo. Ma la quantità (e la novità) dei richiami istituiti da Giotto a tutti i livelli è incredibile. Dopo aver attirato l'attenzione del riguardante sulle contrapposte immagini della ingiustizia e della Giustizia ponendole a metà delle rispettive sequenze e pertanto al centro delle due pareti, e facendo in modo che il fregio di mensoline dipinte in prospettiva diventi perpendicolare in corrispondenza delle due figure, egli riafferma in maniera inconfutabile la superiorità della Giustizia sulla sua antagonista mostrandola assisa in trono come il Cristo giudicante, rendendo pertanto evidente il concetto della giustizia terrena come riflesso di quella divina. Allo stesso modo il ricorso ad elementi architettonici dipinti (soprattutto l'arco) romanici o gotici non è lasciato al caso o alle esigenze compositive dei singoli riquadri, ma è fatto secondo il ferreo criterio in base al quale gli elementi romanici compaiono soltanto nelle scene precedenti all'Incarnazione e quelli gotici nei riquadri che rappresentano avvenimenti posteriori a quell'evento. La figura umana è l'elemento predominante anche quantitativamente. I corpi, ed in particolare i volti, vengono presentati in tutti i modi possibili: di profilo, di fronte, di spalle, di tre quarti, dall'alto in basso e viceversa.

La reintroduzione del profilo nella rappresentazione del corpo umano dopo secoli di presentazione di un corpo frontale con testa girata ad indicare che si intende raffigurare una figura di profilo, è stata a ragione giudicata come una delle più importanti conquiste di Giotto: tra gli esempi più sintomatici, quello del Giuda del Tradimento ed il ritratto del committente (per inciso, un'altra " invenzione" di Giotto).


Giotto, poi, si serve sistematicamente e diffusamente di motivi ricorrenti anche per caratterizzare un dato personaggio in maniera inequivocabile. Si tratta dei colori impiegati nei panneggi che aspirano anche ad evidenziare il carattere del personaggio che li indossa ( tipico il caso di Giuda dal profilo camuso di giudeo e dal manto giallo, colore del tradimento) e dei 'tipi facciali', che definiscono non mere fisionomie ma viventi, seppur tipici, caratteri.
È interessante al riguardo il procedimento impiegato da Giotto nel far assumere a più di un personaggio in momenti successivi lo stesso 'tipo facciale': è il caso, per esempio, di Giuseppe che assume il volto di Gioacchino quando questo non compare più, per poi cederlo a Pietro. Va subito chiarito, anche a ulteriore riprova della vigilissima attenzione del maestro (nonché della sua mancanza di pedanteria), che ai personaggi maggiori, soprattutto quelli che vengono rappresentati dalla nascita alla morte (Cristo e la Vergine), egli attribuisce anche colori di abito diversi a seconda dell'età e delle situazioni in cui vengono a trovarsi.


La visione prospettica

 


Ascensione 1305-13 affresco,
Cappella dell'arena a Padova

Scene dalla vita del Virgin
La riunione al cancello dorato

affresco
part.  1303-05
Cappella dell'arena a Padova

I medici della chiesa 1300
part. della st Jerome prima del volta sopra l'alto altar alla Chiesa superiore del San Francesco, Assisi

San Francesco addolorato
dalla Santa Chiara,
affresco
prima del Chiesa superiore del San
Francesco, 1300, Assisi

Negli affreschi dell'Arena Giotto mostra una padronanza eccezionale dello strumento prospettico, lasciando un campionario di prove impressionante per varietà e maturità di risultati. Nessuno infatti potrebbe immaginare che lo stesso artista che ha creato con le due cappelle funerarie una prospettiva che a lungo è stata ritenuta miracolosamente "rinascimentale" non fosse in grado di trattare nello stesso modo la rappresentazione dell'edificio "geminato" in cui avviene l'Annunciazione.

 

 


Giotto utilizza la prospettiva con la stessa libertà con cui si serve degli strumenti tecnico-formali, selezionandoli e subordinandone l'uso all'effetto che intende raggiungere.
Le desunzioni (dirette o mediate) da prototipi di plastica classica allora reperibili sono piuttosto numerose nell'opera di Giotto, soprattutto se si tiene conto dell'epoca in cui egli opera. Si può inoltre plausibilmente supporre, ed è questo l'aspetto fondamentale, che questi riferimenti gli siano serviti da stimolo insostituibile per un diverso modo di porsi il problema della percezione e della resa della singola immagine nonché del rapporto delle immagini fra loro e rispetto ad un piano di riferimento. Al sistema di regole codificato dalla tarda tradizione bizantina egli oppose pertanto, un sistema radicalmente diverso, rendendosi conto che per rispondere a nuove esigenze e valori non potevano bastare i tentativi di " riforma interna" esperiti da altri grandi artisti.

Per un certo periodo (dal 1911, e almeno fino al 1960) si era ipotizzato, in base a criteri di giudizio strettamente stilistici, che il registro più alto con le Storie della Vergine fosse stato dipinto alla fine.
Le osservazioni che Leonetto Tintori riportò in occasione del restauro da lui stesso condotto del ciclo, sebbene limitate ai riquadri presenti sulla parete dell'arco trionfale: (Cacciata di Gioacchino dal Tempio, Corteo nuziale, Annunciazione, Visitazione, Natività, Cacciata dei mercanti dal tempio, Tradimento di Giuda, Ultima cena e Pentecoste), servirono comunque a dimostrare che la sequenza si svolgeva dall'alto verso il basso, secondo la normale prassi operativa.

Ulteriore conferma si è avuta nel corso delle operazioni di rilevamento dello stato di conservazione degli affreschi condotte dall'Istituto Centrale per il Restauro. Si è potuto così stabilire che, nella volta, le prime ad essere affrescate sono state le tre 'fasce architettoniche' con busti di Re, Sacerdoti, Patriarchi.

 


Scene dalla vita di Gioacchino,
Espulsione di Gioacchino
dal tempio,
affresco 1305-13
Cappella dell'arena, Padova

Scene dalla vita di Gioacchino
Sogno del Gioacchino
affresco
1305-13
Cappella dell'arena, Padova

Scene dalla vita del Virgin
Il volo in Egitto,
affresco 1304-13
Cappella dell'arena, Padova

Scene dalla vita del Virgin
La presentazione al tempio,
Cappella dell'arena
1305-13
Padova

La direzione delle giornate va, come di norma, dall'alto verso il basso muovendo dal busto dipinto in corrispondenza del 'cervello' della volta e scendendo verso le due pareti; le giornate dei due 'campi' procedono, seguendo la prassi comune, dalla 'fascia' contigua alla parete dell'arco trionfale a quella mediana e poi a quella adiacente alla controfacciata col Giudizio; le ultime giornate nel senso della lunghezza della volta comprendono talora anche porzioni della cornice orizzontale e superiore delle scene del registro più alto.

 

Nelle due pareti laterali lo schema di procedimento rilevato è il seguente: sono stati dipinti per primi, registro dopo registro, gli elementi architettonici orizzontali; in seguito, riquadro per riquadro, l'elemento orizzontale superiore della cornice, i due verticali (in sequenza o talora unificati con i contigui elementi architettonici verticali), poi ancora la 'storia' rappresentata e, infine, l'elemento orizzontale della cornice che spesso fa tutt'uno con la corrispondente porzione della fascia decorativa orizzontale alta del registro immediatamente inferiore; analogo sistema interessa lo zoccolo e il sovrastante fregio a finte mensole.

Nella parete dell'arco trionfale e nella parete del Giudizio lo schema operativo si presenta abbastanza analogo nella zona inferiore, che finisce approssimativamente all'altezza dei capitelli delle sei paraste; in quella superiore invece, e in tutte e due le pareti, il procedimento parrebbe diverso (il condizionale è d'obbligo dato lo stato di conservazione di parte delle zone considerate): le giornate scendono dall'alto verso il basso ma coinvolgono le fasce che partono dalle paraste esterne le superfici da esse racchiuse. Se si aggiunge che i limiti delle giornate in senso orizzontale seguono un andamento parallelo, come se fossero disposte secondo ideali ' pontate' , allora risulterà confermato ciò che già altri avevano ipotizzato (Gnudi, Previtali), e cioè che per decorare la cappella, Giotto si servì di un ponteggio unico che gli consentiva di accedere sempre dovunque potesse servire (era questa altresì la convinzione del Tintori, che si era spinto anche ad immaginare graficamente come tale ponteggio dovesse essere).


Risulterà inoltre più plausibile, in base a quanto si è detto, che l'esecuzione degli affreschi sia andata avanti piano dopo piano, fin giù allo zoccolo, probabilmente investendo contemporaneamente, dopo la volta, tutte e quattro le pareti.

Secondo il Gilbert, le due pareti laterali sarebbero state dipinte contemporaneamente a partire dall'altare, mentre l'Annunciazione sarebbe stata dipinta in due tempi, prima la parte superiore, e poi l'inferiore, al livello del registro più basso delle pareti.

 


L'ultimo giudizio, part. di Jesus,
affresco
1305-13
 Cappella dell'arena,Padova

Giudizio universale

Resurrezione Lazzaro

Nascita di Gesù

Tuttavia il non aver rintracciato sovrapposizioni di intonaco in corrispondenza dei quattro angoli della cappella non può essere considerato un elemento a favore di questa ipotesi; inoltre non sarebbe stato necessario, per lavorare contemporaneamente o almeno in sequenza orizzontale su tutte le pareti, mettere in opera angoli ottenuti con una stesura ininterrotta della malta (sarebbe bastato passare in corrispondenza dell'incontro delle due superfici di malta, della calce molto liquida a pennello, come probabilmente è avvenuto).

 

 

Il modo di procedere qui ipotizzato avrebbe avuto almeno due vantaggi: la ottimizzazione dei tempi, soprattutto se fossero stati in molti a eseguire tutte quelle operazioni che non esigevano la mano del maestro o dei più sperimentati discepoli ('sbruffatura' battitura dei fili, stesura dell'arriccio, incisioni dirette, rilevamento delle aureole, esecuzione delle finiture a secco e delle dorature): la possibilità di poter ritornare in qualunque momento su qualsiasi punto dell'opera già portata a termine, per correggere, aggiungere, modificare. In un'ipotesi di questo tipo il lavoro può essere interrotto e ripreso senza lasciare tracce evidenti (e senza alcuna conseguenza negativa salvo il dispendio del montaggio e smontaggio del ponteggio).

L'articolato programma dei significati iconologici e dei contenuti iconografici del ciclo è basato su conoscenze e suggestioni svariate. Le fonti più usate per le Storie di Gioacchino, della Vergine e del Cristo sono state individuate nei Vangeli Apocrifi (in particolare nel Protovangelo di Giacomo e nel Vangelo dello Pseudo Matteo) come pure nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Soprattutto negli ultimi anni, sempre più frequenti riferimenti sono stati rinvenuti in un testo di devozione francescana, le 'Meditationes Vitae Christ'i dello Pseudo Bonaventura.

 


Pietà

Arcata del cancello

La Madonna in Gloria

 

Quanto alle allegorie dei Vizi e delle Virtù, recenti studi hanno attirato l'interesse su diverse fonti letterarie alle quali l'artista o il suo consigliere avrebbero potuto ispirarsi. Sono state citate la 'Psichomachia' di Prudenzio; 'l'Hortus Deliciarum' di Herrad von Landesber.

 

Fonti classiche come il 'De Officiis' di Cicerone, 'le Metamorfosi' di Ovidio, il 'De Ira' di Seneca, il' Decretum Gratiani' di fra Bartolomeo da San Concordio. Non c'è dubbio che questo programma sia opera di un dotto, la cui identità si tenderebbe a ravvisare da parte di alcuni studiosi nel personaggio, finora ignoto, raffigurato nel Giudizio universale in atto di sostenere la Cappella che Enrico offre alla Vergine.

Il presunto 'consigliere' teologico e, più in generale, culturale indossa una cotta bianca e un superpeliceum azzurro. Si è cercato di identificarlo con un appartenente a uno dei due ordini che in qualche modo avevano a che fare con Ia Cappella: i Cavalieri Gaudenti del ramo conventuale o i frati del vicino Ordine degli Agostiniani eremitani. (Bellinati suggerisce il nome di Altegrado de' Cattanei, arciprete della Cattedrale).
Indubitabile, invece, è la completa appartenenza a Giotto di una straordinaria sensibilità e dell'apparente facilità con cui il discorso, tramite le immagini, perviene al riguardante.

 

 

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