Fontana Lucio

 

Lucio Fontana
(1899-1968)

 

Lucio Fontana è attivo già dagli anni trenta con opere che denunciano una   aperta insofferenza nei confronti dei tradizionali sistemi operativi e produttivi dell'arte e per la forma rappresentativa dell'opera. Del 1931 è la sua prima mostra personale tenutasi alla Galleria del Milione. Qui espone sculture figurative nelle quali, se da un lato risulta chiara l'influenza di Arturo Martini, dall'altro la ricerca dell'essenzialità della forma denota lo spiccato interesse dell'artista per l'avanguardia europea. Di questo periodo sono anche le "tavolette graffite" di cemento colorato che anticipano la sua opera degli anni Cinquanta. Le tavolette sono incise attraverso automatismi gestuali che nello stesso periodo caratterizzano l'opera dei surrealisti.

 


Concetto spaziale
la fine di Dio 1963-64


Concetto spaziale 
Attese 1968

Nel 1934 entra a far parte del gruppo dei primi astrattisti  italiani (con Melotti, Licini, Reggiani, Veronesi, Soldati, Ghiringhelli e Bogliardi) facenti capo alla Galleria del Milione. L'anno successivo appoggia il movimento parigino "Abstraction-Création", pur continuando tuttavia per tutto il decennio seguente ad alternare le forme astratte a quelle figurative. Intraprende in questo periodo anche l'attività di ceramista, iniziando a lavorare questo materiale in parte influenzato dall'opera di Boccioni e Medardo Rosso, ma comunque sempre alla ricerca di una totale libertà gestuale e di una forte espressività plastica. Per questa nuova attività si avvale delle manifatture Sèvres di Parigi. Nella capitale francese conosce Tzara, Mirò e Brancusi.

 


 

Durante gli anni della seconda guerra mondiale, e fino al 1947, vive in Argentina, continuando a lavorare in stile figurativo con più accese tensioni espressionistiche e insegnando all'Accademia di Altamira a Buenos Aires, da lui fondata nel 1946 insieme con Jorge Romero Brest e Jorge Larco. Qui redige il "Manifiesto Blanco", che fissa i principi teorici dello "spazialismo", enunciando che l'opera deve dilatarsi nello spazio estendendosi anche alla quarta dimensione.
Scrive Achille Bonito Oliva: "Il problema di Fontana è come adoperare la scultura per raggiungere attraverso l'arte la realtà. Generalmente le forme artistiche, essendo forme metaforiche, sono come un velo tra l'artista e la realtà.
 

 


Decorazione
per ante di armadio 1952-53

Concetto spaziale
attese 1965

Nel momento in cui Fontana vuole invece attraverso l'arte raggiungere la realtà, si pone il problema di come sfondare i materiali più duttili se legati al quotidiano. Per questo egli trova in Boccioni, nel Futurismo, il massimo delle ispirazioni. Esattamente nel Manifesto della Scultura firmato da Boccioni, in cui l'artista futurista dichiara di voler esprimere i concetti di dinamismo ed energia, mediante l'arte tridimensionale della scultura e realizzare il paradosso di rappresentare il movimento attraverso una forma statica, attraverso materiali che vanno dal metallo al marmo, ad altri quotidiani, poveri, elementari, quali il legno, il vetro, lo spago, che di per sé non appartengono alla tradizione dell'arte.

 

 

Nello stesso tempo Fontana, attraverso la pittura, si pone lo stesso problema della scultura: come sfondare il muro dell'arte e arrivare direttamente a toccare il mondo, la realtà".Nell'aprile del 1947 torna a Milano ed immediatamente anima discussioni e dibattiti tra artisti e intellettuali per la stesura dei Manifesti Spazialisti. Le teorie che ne scaturiscono vengono successivamente sviluppate in altri manifesti redatti tra il 1947 e il 1952 che contribuiscono a chiarire la nuova concezione dello spazio che diviene l'intero ambiente vitale dell'opera, dell'artista e del fruitore, in una direzione totalmente espansiva tendente ad abolire i confini dimensionali e i limiti fisici del materiale che si fa linguaggio. Dai manifesti spazialisti: "Concepiamo la sintesi come una somma di elementi fisici: colore, suono, movimento, tempo, spazio, la quale integri una unità fisico-psichica. Colore, l'elemento dello spazio, suono, l'elemento del tempo, il movimento che si sviluppa nel tempo e nello spazio, sono le forme fondamentali dell'arte nuova, che contiene le quattro dimensioni dell'esistenza. Tempo e spazio".

Ecco dunque ciò che Fontana ricerca: "uscita dell'arte dalla cornice tradizionale, superamento del rapporto di distanza contemplativa tra spettatore e opera d'arte. Sfondamento del muro dell'arte, rapporto di continuità tra le due dimensioni dello spazio attraverso un varco fisico creato nella materia e dilatazione del varco fino ad arrivare allo spazio ambiente in cui lo spettatore entra nell'opera d'arte e vive con tutta l'esperienza psicosensoriale.

 


Concetto Spaziale
Attese

Concetto Spaziale
Attese 1967

Nel 1949, con una installazione di vaste dimensioni alla Galleria del Naviglio di Milano, crea un "Ambiente spaziale con forme spaziali e luce nera" che precorre l'uso delle ambientazioni in seguito largamente adottate dagli artisti degli anni sessanta. In una cabina chiusa Fontana crea uno spazio buio, in cui galleggiano grumi di materia illuminati dalla lampada di Wood: in quest'ambiente tutte le concezioni tradizionali di spazio dell'arte sono annullate, le percezioni sensoriali e di orientamento stravolte.  L'intuizione di Fontana è molto vicina alla poetica informale, ma sicuramente più avanzata e procede da un'analisi dello spazio virtuale (lo spazio dell'opera) che l'artista tenta di far coincidere con lo spazio reale intersecandoli. Egli raggiunge lo scopo attraverso il trapasso con i "buchi" e i "tagli".

 

 

Sono infatti del 1949 le prime tele con i "buchi", seguite nel 1958 da quelle con i "tagli", che eseguirà sulle pitture della serie degli "inchiostri", realizzando i primi "concetti spaziali" a tagli multipli chiamati "Attese".

Il concetto è quello di incidere con un gesto che è prolungamento e testimonianza della propria intenzionalità di intervento diretto, in prima persona, sulla materia (nel mondo), sullo spazio per impossessarsi di tutte le sue dimensioni  nell'intera loro estensione. Mentre la materia e la superficie si materializzano, il gesto si concreta nella contrapposizione di luce e ombra, pieno e vuoto, bidimensionalità e tridimensionalità. E tuttavia rimane se stesso, esaltato al massimo grado della sua carica comunicativa, non espressionistica ma trasgressiva e progressiva, dal colore unitario uniformemente steso sulla tela o dall'unitarietà della forma delle sculture, spesso levigate o comunque libere di qualsiasi accidentalità di percorso.

Il binario su cui corre la poetica di Fontana è dunque da un lato l'intervento gestuale e mentale dell'artista, inteso non come espressione narcisistica di sé, ma come incisione drammatica dell'essere sulle cose, sulla realtà fisica; dall'altro l'esaltazione ai fini di verità di tale fisica materialità dell'esistente.

 


Meriggio (Venezia) 1965

Concetto spaziale 1968

Scrive ancora Bonito Oliva: "Il gesto del taglio e quello della penetrazione non hanno nulla a che fare con l'erotismo dell’ "Action Painting", della gestualità pittorica che si sviluppa in America e in Europa in quegli anni, in quanto legata strettamente all'automatismo del surrealismo, al gesto elementare di liberare l'inconscio, non progettato, aperto, collegato alle pulsioni dell'inconscio. Mentre il gesto di Fontana è modulare, naturalmente supportato anche da un'energia quasi artigianale, ma legato ad un percorso in verticale e in profondità costante.

 

 

 

Il bisogno del taglio e della penetrazione nella materia ha anche una relazione con l'inconscio, con il bisogno di penetrare una materia chiusa e sconosciuta, ma complementare; infatti l'approdo finale è quello di una forma estremamente oggettiva che vuole suggerire anche un proseguimento mentale. Infatti Fontana dirà che il taglio e il buco sono atti mentali. É chiaro che l'atto mentale ha bisogno della materia per concretizzarsi, per non essere un gesto fantasmatico che Fontana vuole realizzare, passare a un rapporto, concreto come la realtà. Ecco che allora la superficie della pittura e la materia della scultura diventano come dei muri da sfondare per creare una possibilità di continuità tra spazio esterno dove sta lo spettatore e spazio interno dietro lo spettatore. Fontana, attraverso il taglio e il buco, sfonda la parete metaforica dell'arte ed approda ad un rapporto fisico, concreto con lo spazio reale."

Nel corso degli anni Cinquanta Fontana sperimenta diverse tecniche di realizzazione dei "concetti spaziali" tra cui la tecnica del pastello e china su tela con "buchi" e collages, mentre i "concetti spaziali" del 1952-53 con pietre e vetri colorati sono significativi del suo crescente interesse per la fisicità dei materiali.

 


Concetto spaziale 1966

Concetto spaziale  1958

 

Dal 1959 al 1963 continua la sperimentazione su diversi materiali con i quali realizza alcuni cicli: dalle sculture in terracotta tonde e "squarciate", che chiama "Nature", agli "oli" dedicati a Venezia, al ciclo pittorico dedicato a New York, che poi realizzerà su lastre metalliche, rame e zinco, con incisioni, tagli e buchi, fino ad arrivare alle "ova", esposte nel 1963 a Milano.

 

 

 

Negli anni 1963-64 Fontana si dedica alla creazione di una serie di opere evocanti la divinità dal titolo "Fine di Dio", costituite da tele ovali monocrome perforate e a volte cosparse di lustrini, e di altre denominate "teatrini", in tela e legno laccato, che proseguirà nei due anni successivi, mentre del 1967 sono le "Ellissi" in legno forato ad intervalli regolari, ed un gruppo di sculture in metallo verniciato.

Fontana può essere considerato il precursore assoluto della tendenza caratterizzante gran parte dell'arte dei decenni successivi che, mettendo in discussione il concetto stesso di arte e di artista ne promuove una nuova visione e una nuova nozione basata principalmente sul momento della volontà creatrice più che sul prodotto di tale volontà. La sua opera assume così un ruolo di primaria importanza nell'orientamento dell'arte italiana a lui contemporanea e degli anni a venire.

 

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